di Dario Ardias Thorre
Il 3 Gennaio è uscito il nuovo film di Julian Schnabel: “Van Gogh, Sulla soglia dell’eternità ” e mi sembrava quanto meno carino parlare invece dell’opera prima cinematografica del suddetto regista che solo regista non è essendo anche uno dei più grandi esponenti del neo espressionismo.
Schnabel, pittore, nel suo primo film del 1996, omaggia un suo pari e lo omaggia con mano sicura e affettuosa ripercorrendo gli anni della carriera del padre della street art, Jean Michel Basquiat, dalle notti a dormire in un cartone nel parco fino alla completa affermazione, passando per la morte di Warhol che segnò in modo irreparabile la psiche del giovane artista di colore, fino alla più assoluta autoditruzione e conseguente morte avvenuta nel 1988. Il film scorre bene e non ha pretese di nessun tipo, nè formali nè spirituali; semplicemente ci fa entrare nella vita dissoluta di un uomo a volte insicuro, spesso disadattato, ma che trova nella pittura, nel suo personale linguaggio al quale arriverà per progressivi tentativi, l’unica via per farsi in qualche modo comprendere anche dall’intellighenzia che, estasiata, si prostrò ai piedi del giovane creolo.
Il cast è stellare.
Ottima la prova di Jeffrey Wright nei panni del protagonista, espressivo e simpaticamente stranito dal mondo che lo circonda e via via David Bowie, algido e perfetto in un Andy Warhol soggiogato da Jean Michel e suo affettuoso mentore e amico, Benicio del Toro, Dennis Hopper, Gary Oldman, nei panni del gallerista/artista Albert Milo, fino ai camei di Christopher Walken, Vincent Gallo, Tatum O’Neal e Willem Defoe. Schnabel che visse quegli anni, sa quanto sia necessario per lo spettatore avere una chiara visione dei fatti facendogli comprendere le dinam,iche non solo creative di un artista, ma anche del suo rapporto con il mondo dei critici e dei galleristi sempre pronti a cogliere l’ultima grande sensazione pur di fare soldi, artisti che magari erano stati ignorati fino a poco tempo prima.
Bellissima la scena dell’intervista, quando Basquiat, a cuor leggero, risponde alle domande squinternate e ficcanti di un giornalista (Walken) poco propenso a rispettare i silenzi e i segni di chi ha davanti, così come tenera è la sequenza tra Basquiat e Warhol: “Mi fai sentire una nullità “, esclama Andy osservando la tela bianca di Jean Michel che gli si confida esprimendo la sua tristezza e il suo disappunto verso i critici e la gente che qualsiasi cosa egli faccia o dica è sempre scontenta e pronta ad etichettarlo.
Ritengo che questa pellicola, genuina, a tratti ingenuamente buona, debba essere recuperata non solo per avvicinarsi all’opera di Basquiat, ma per avere l’istantanea di una corrente culturale, indubbiamente non accessibile a tutti (pop art e neo espressionismo), ma degno prodotto di un’epoca di fermenti e sperimentazioni quale fu la New York degli anni 70/80.