Seguo Massimo De Vita, alias Blindur, da tanto tempo, precisamente da quando a capo della colorita Dioniso Folk Band, diede alle stampe il riuscito album autoprodotto “I testardi fiori della speranza”.
In quell’ensemble, in grado di trarre ispirazione dal miglior folk internazionale miscelandolo con certo cantautorato colto italiano, spiccava proprio il buon Massimo, non solo per una voce pulita, chiara e d’impatto, ma soprattutto per la grande maturità che emergeva dai testi e un’attitudine in qualche modo punk.
Si sentiva che il Nostro aveva molto da dire, e terminata l’esperienza di gruppo, pur celandosi dietro il nome Blindur, al quale partecipo’ in principio Michelangelo Bencivenga e in seguito Carla Grimaldi, decise che era giunto il momento di osare di più, di mettere dentro alle canzoni qualcosa di sè, di più sentito.
Dopo una buona gavetta, furono quelli de “La Tempesta” a metterlo sotto contratto e il primo disco omonimo, uscito due anni fa, fece già parlare bene di sè, guadagnandosi tra l’altro una nomination al Tenco come migliore opera prima.
Non solo folk nei Blindur ma molte delle suggestioni che sembrano muovere gruppi come Mumford & Sons, al quale Massimo e Michelangelo sembrano guardare da vicino. Passione e visceralità , oltre a una buona penna, le armi vincenti del duo napoletano.
Questo ulteriore tassello, intitolato “A”, a sancire un nuovo inizio, l’ennesimo verrebbe da dire, mostra un De Vita ancora più consapevole dei propri mezzi, più curioso e desideroso di ampliare gli orizzonti. C’è tanto di suo ma allo stesso tempo anche l’esigenza di riappropriarsi (una volta appreso che Bencivenga non sarebbe più stato della partita) dello spirito di gruppo, necessario per condividere intuizioni e ed emozioni.
Ecco quindi ormai in pianta stabile la violinista Carla Grimaldi, ai quali si sono aggiunti la batterista Julie Hant e il bassista Luca Stefanelli, con Massimo nelle consuete vesti di cantante e polistrumentista.
Orizzonti ampliati grazie a una produzione (condivisa da De Vita con Paolo Alberta) che va a valorizzare nel migliore dei modi brani di per sè già ben strutturati, ma anche felice retaggio delle esperienze vissute in Islanda, da sempre Terra amata e ambita. Islanda che si materializza ancora una volta in Birgir Birgirsson (fonico già di Sigur Ros e Bjork) che qui si occupa dei missaggi. Al disco hanno collaborato fra gli altri anche Adriano Viterbini e JT Bates (noto batterista di Bon Iver).
Colpisce il respiro diverso che arrivano ad avere le canzoni rispetto alle corrispettive dell’esordio. Sono ancora preferite le soluzioni acustiche ma è più ricca la tavolozza dei colori. C’è una batteria che fa egregiamente la sua parte nei pezzi più tirati (e ce ne sono diversi a spiccare in tal senso) e una ricchezza di suoni a mutare atmosfere, vestendole adeguatamente a seconda degli umori.
Perchè “A” è principalmente un disco che sa veicolare le emozioni del protagonista, attraverso i suoi ricordi che riaffiorano ad esempio ne “La forma delle tue mani”, intensa e autobiografica, con carezzevole note di piano e la struggente dolcezza dei versi. Mediante immagini e suggestioni, ma anche concrete prese di coscienza come nell’iniziale “Invisibile agli occhi”, che aveva anticipato il disco e che qui lo apre come decisa dichiarazione di intenti.
L’altro singolo “Futuro presente” va a formare una doppietta micidiale in apertura, col suo incedere incalzante e la coinvolgente musica. Le somiglia musicalmente la melodica “Il punto di rottura” che, da titolo, ci fa imbattere in quei momenti che ci capita di vivere e che sono propedeutici a una nuova svolta.
Altrove invece i toni sono più rallentati, tenui, con i testi conseguentemente più riflessivi e diretti. Emblematiche in tal senso sono una “Q.B.”, memore della lezione folk, l’onirica “Ansia” che, a dispetto del titolo, in modo un po’ ossimorico, trasmette serenità e voglia di reagire e la sarcastica “Cetrioli” che suona come monito a guardarsi dentro.
Il connubio migliore tra testo cantautorale e musica avviene con “3000X” e “Una brutta canzone”, dotate di soluzioni sonore davvero interessanti, tra il sogno degli XX e la disillusione del miglior post rock.
La ballata “Come sassi” chiude un cerchio nel migliore dei modi, avvolgendoci con i suoi toni crepuscolari e facendoci subito voglia di tornare alla prima traccia e ricominciare daccapo.
E’ un disco davvero ben congeniato in ogni particolare, infarcito di belle canzoni, passatemi il termine generalista, ma mi piace evidenziarlo, perchè spesso capita di ascoltare dischi ben prodotti e ben suonati, dove a mancare, ahimè, sono proprio le canzoni. Non è il caso di questo nuovo capitolo della saga di Blindur, che anzi si candida a diventare uno dei migliori dischi italiani dell’anno.