“I Pink Floyd sono un matrimonio in eterna causa di separazione“, sono queste le parole con cui Richard Wright descrisse, una volta, la band di cui era parte, in perenne bilico tra due diverse e contrastanti visioni del mondo e della musica. Eppure furono proprio le tensioni creative tra Roger Waters e David Gilmour, spesso, che permisero alla band di tirare fuori il meglio di sè. Scegliere, di conseguenza, solo dieci brani che fossero rappresentativi della complessa vicenda umana ed artistica pinkfloydiana, per quanto mi riguarda, è impossibile. Ho preferito, quindi, scegliere dieci brani che avessero un filo conduttore che potesse esaltare e mettere a fuoco alcuni degli aspetti più interessanti e significativi della poetica espressa negli album pubblicati dallo storico quartetto Gilmour/Mason/Waters/Wright, lasciando, deliberatamente, fuori da questa ideale playlist sia il mitico primo album (il “The Piper” barrettiano), sia gli album nati dopo l’abbandono di Roger Waters.
La leggenda narra che, una volta raggiunta la celebrità , ai Pink Floyd venisse, spesso, chiesto, anche dai vari addetti musicali che bazzicavano attorno alla band, chi di loro fosse questo famoso Pink, conviti, davvero, che Pink dovesse essere, necessariamente, uno di loro quattro. E la cosa, probabilmente, appariva anche piuttosto strana ed insolita, ai loro occhi abituati a personaggi decisamente più stravaganti quali David Bowie o Mick Jagger, mentre i Pink Floyd erano persone comuni, completamente disperse in quell’ordinario quotidiano che narravano nelle loro canzoni, in quella spirale di sofferenza, alimentata dalle nostre stesse ansie e dalla nostre paure; una spirale che ci spinge sempre più a chiuderci in noi stessi, a temere di mancare per sempre il traguardo stabilito e vagare, soli e disperati, nel nostro inconscio, sul lato oscuro della luna.
Dunque, mettetevi comodi, ragazzi, prendete un drink, fumatevi un sigaro e quando sarete pronti, ditemi, la verità : chi di voi è Pink? “Which one’s Pink?”
TIME
1973, da “The Dark Side Of The Moon”
In principio era semplicemente una corsa forsennata; un cuore che tentava di rincorrere le note di un sintetizzatore VCS-3; un aereo che perdeva quota, per poi andarsi inevitabilmente a schiantare ““ proprio come, spesso, accade ai nostri sogni ed ai nostri migliori propositi ““ sul muro delle nostre paure più irrazionali. Ed è così, allora, che ci ritroviamo a contare i minuti che passano, le ore di un giorno triste e noioso, senza riuscire a renderci conto di essere rimasti intrappolati in un loop infinito. Neppure il Sole che, intanto, è ricomparso alle nostre spalle, riesce a destarci e darci la forza per interrompere il loop, ma è troppo tardi ormai: il Tempo a nostra disposizione è finito. Come la canzone del resto.
WELCOME TO THE MACHINE
1975, da “Wish You Were Here”
Questa volta sarà un moog a destarci dal torpore del Tempo immobile di cui siamo prigionieri; il suo suono sinistro ci preannuncia che siamo parte di un meccanismo alienante che risucchia le nostre migliori energie e quando saremo, alla fine, deboli, svuotati e senza più forze, ci prenderà per mano, ci accompagnerà ovunque ed influenzerà le nostre scelte, i nostri passi, le nostre idee, le nostre emozioni ed i nostri stessi sogni.
PIGS (THREE DIFFERENT ONES)
1977, da “Animals”
La Macchina di cui siamo parte integrante e sottomessa non è altro che lo strumento subdolo con cui i Maiali, che ci governano e controllano, vogliono tenerci in riga. Possono avere diverse maschere, diverse voci, diversi modi d’agire, ma tutti nascondono il loro cinico sarcasmo dietro un’apparente e finta compassione, mentre, in realtà , sono solo bramosi di tenerci – con le buone o le cattive – in loro potere, di farci sentire indifesi, minacciati e bisognosi della protezione dei loro miserevoli e rabbiosi Cani.
NOBODY HOME
1979, da “The Wall”
E così quelli che sono i più sensibili tra noi si rifugiano nella loro solitudine, nelle loro poesie; restano inchiodati dinanzi all’enorme Nulla che proietta le sue false e menzognere immagini sugli schermi luminosi delle nostre TV. Nel frattempo non ci resta che catalogare, mentalmente, tutto quello che non ha mai avuto alcun valore, tutto quello che non ha più nessuna importanza e che svanisce nel dolore e nell’incomprensione di questo ennesimo giorno, nell’impossibilità di riuscire a comunicare con chi è aldilà di questo maledetto muro.
GREEN IS THE COLOUR
1969, da “More”
Quando tutto appare così inutile ed artificiale, la nostra mente non può fare altro che rifugiarsi nel ricordi più puri ed incontaminati, nei ricordi più cari della nostra esistenza: nella bellezza di Estelle, nei suoi occhi amorevoli, incuranti del mostro che si nascondeva sotto il ghiaccio sottile delle nostre fragilità umane. Un assassino la cui stretta mortale si confonde, pericolosamente, con la scintillante luce verde della sua anima inquieta.
SET THE CONTROLS FOR THE HEART OF THE SUN
1968, da “A Saucerful Of Secrets”
Saremo in grado di riprendere il controllo delle nostre scelte? Delle nostre vite? Dei nostri pensieri? Della nostra astronave? O lasceremo che essa vada a schiantarsi contro quel Sole che credevamo potesse illuminare e rendere più confortevole e sicuro il nostro cammino? Abbiamo toccato, con mano, il lato più distruttivo dell’amore, Estelle, ora non ci resta che accettare il muro che si erge davanti a noi e provare a riprendere a parlare.
MOTHER
1979, da “The Wall”
Riprendere a comunicare, parola dopo parola, verbo dopo verbo, perchè è inutile restare chiusi in questi nostri bozzoli protettivi di silenzio ed immobilità . Nessuno potrà proteggerci dalle bombe che cadranno dal cielo; non ci resta, quindi, che uscire fuori da queste comode ed anestetizzanti case materne ed affrontare quella che è la cruda verità .
IF
1970, da “Atom Heart Mother”
L’unica salvezza possibile è, infatti, liberarci dagli spettri che ci tormentano, dal passato che vuol darci la caccia, da tutti i pesanti e vendicativi “se” che ci tengono ferocemente ancorati ai vecchi errori ed alle scelte sbagliate e non rifiutarsi più di riconoscere le proprie mancanze, perchè, in fondo, sono proprio esse a renderci migliori, a permetterci di ricucire gli strappi e guardare al futuro con animo più sereno.
BRAIN DAMAGE
1973, da “The Dark Side Of The Moon”
Altrimenti, se ci lasceremo sopraffare dai nostri “se”, finiremo col ritrovarci con fili di metallo nel cervello; resteremo soli dinanzi a vette scivolose impossibili da scalare; intrappolati per sempre sull’altro lato della Luna, con un pazzo che si diverte a tormentarci, a metterci in testa pensieri che non sono i nostri, a sbarrare tutte le porte e gettare via le chiavi.
ECLIPSE
1973, da “The Dark Side Of The Moon”
Un minuscolo satellite roccioso può eclissare una stella così luminosa”… Siamo terribilmente fragili ed indifesi, proprio come questo cuore che continua, imperterrito, a battere all’impazzata, giorno dopo giorno. Un battito che ci rammenta che l’esistenza è un cerchio e che il Sole tornerà , ancora una volta, a splendere luminoso e tronfio alle nostre spalle, quello stesso Sole che, talvolta, viene eclissato dalla Luna.
Credit Foto: Capitol Records [Public domain], via Wikimedia Commons