Ha le idee chiare la nostra Alex e, anche questa volta, come già  nell’esordio “I Love You Like A Brother” (2017), piazza un disco agile e piacevolissimo, fatto di chitarre power-pop-rock e, ancora una volta, ritornelli a presa rapida. In questo giro di giostra la nostra fanciulla ha suonato praticamente tutto, una bella dichiarazione di autostima e di grinta, mentre ai posti di comando, in fase di produzione, c’è un nome noto come Catherine Marks. Il disco ne guadagna in varietà , ambizione e consapevolezza dei propri mezzi: non ci sono solo chitarre cariche, ma anzi, si lavora di più sui mid-tempo che risultano tutti decisamente ben calibrati e, in ogni caso, non se ne esce scontenti per una produzione maggiormente “laccata” o levigata.

Alex parla ancora di lei, delle sue introspezioni, delle sue sfighe, delle sue vulnaribilità , dei punti bassi e dei suoi sentimenti e lo fa mescolando pulsioni cariche e rabbiose (“Misery Guts” su tutte!) con una riflessività  che, come dicevo sopra, pennella note in modo da non farle apparire mai annacquate. Tutto ha un senso se pensiamo che il disco è stato ispirato da come ci si approccia al bar: “Che tu abbia avuto il miglior giorno della tua vita o il peggior giorno della tua vita, puoi semplicemente sederti al bar e rivolgerti alla persona accanto a te“. Ecco che quella persona può diventare confidente o recipiente di sfoghi, mentre il bar diventa confessionale o stanza delle parole e dei ricordi: si gestiscono emozioni e stati d’animo e l’approccio variegato e più ampio è inevitabile.

Dal gusto folk-rock classico di “Black RMs”, alla ballata “Unspoken History”, al taglio Weezer di “Interior Demeanour” e a quello alla Cure di “I Need To Move On”, passando per il rock-pop di “Am I Donig Right?” e le melodie vocali dolcissime e piene di speranza di “I Want To Live With You”, la nostra fanciulla ha tanto da dire e lo fa sempre piuttosto bene. Promossa anche questa volta!

Credit: Jack Stafford