Si può riuscire a celebrare anche un disco che, all’epoca, poteva essere definito semplicemente come un disco di b-sides e, brutalmente parlando, scarti, canzoni non ritenute sufficientemente all’altezza per essere inserite negli album ufficiali? Sì, se il lavoro in questione si chiama “Pisces Iscariot” e appartiene agli Smashing Pumpkins.

Quando fu pubblicato, nel 1994, esattamente oggi 25 anni fa, all’inizio si pensò solo al mercato statunitense, giacchè in Europa erano praticamente già  usciti tutti gli episodi, disseminati fra i singoli ed EP scelti a promuovere i primi due album della band di Billy Corgan, James Iha, D’Arcy e Jimmy Chamberlin: “Gish” del 1991 e “Siamese Dream” del 1993.

La fama della band, e del suo leader non ancora pelato stava aumentando sempre più e i consensi fra gli appassionati e gli addetti ai lavori erano pressochè unanimi. Si intuiva quanto talento e quanta creatività  sgorgasse dalle penne e dai cuori dei 4 protagonisti di stanza a Chicago. Cosa potevano aggiungere allora queste embrionali canzoni, questi brani che potevano sembrare incompiuti, poco più di provini, semplici esperimenti? Beh, col senno di poi, la risposta viene piuttosto naturale ma in realtà , già  simultaneamente si capiva che questa particolare, anomala raccolta aveva oltremodo senso di esistere (e di essere pubblicata ufficialmente), vista l’indubbia qualità  della proposta, nonostante ““ proprio per la natura particolare della stessa ““ manchi giocoforza di omogeneità  e di un filo conduttore, a differenza di quello che sarebbe venuto di lì a poco meno di un anno, con la pubblicazione di nuovo materiale del tutto inedito, a comporre quel mastodontico capolavoro che risponde al nome di “Mellon Collie and the Infinite Sadness”.

Verrebbe da dire che Corgan allora non era solo un prolifico autore fine a sè stesso, come purtroppo diverrà  nel nuovo millennio, quando si ritroverà  a pubblicare copioso materiale da riempire album su album ma senza la necessaria spinta creativa ed emotiva. In “Pisces Iscariot” invece la sua prolificità  era assolutamente sorretta dallo sgorgante talento, di debordante misura, al fine di giustificare di non aver inserito negli album precedenti autentiche perle quali ad esempio l’impetuosa suite “Starla” o, ai suoi antipodi, le dolci e rassicuranti “Whir” e “Obscured”.

Probabilmente il dirompente flusso creativo, al quale è giusto dire contribuivano anche gli altri, specie James Iha, non ancora sotto le grinfie del “tiranno” Corgan, era tale che le nostre zucche sfasciate nemmeno riuscivano a contenerlo in singoli album. Altrimenti non si spiegherebbero le esclusioni di gioielli come la carezzevole “Soothe”,  “Blew Away” o “Plume”: in queste ultime due c’è eccome lo zampino dell’istrionico chitarrista di origini giapponesi, tanto che la morbida e sognante “Blew Away” porta interamente la sua firma.

Ci sono però anche canzoni di inaudita potenza sonora, dove davvero si valicano i confini dell’hard rock, presente notevolmente nel background dei Nostri, al pari della new wave e della psichedelia. Brani come “Hello Kitty Kat”, pieno di distorsioni,   per non dire di “Pissant” ““ fedelissima con quelle sonorità  grunge al suo tempo ““ o “Frail and Bedazzled”, stanno lì a testimoniare tutta la fascinazione del gruppo per un rumore che non è mai sterile e accademico, ma che diventa accessorio fondamentale per declinare la rabbia e il tormento che già  covavano in seno ai 4 musicisti (sin da subito gli equilibri interni alla band si mostrarono fragilissimi: non è questa la sede per ricordare le circostanze in cui fu dato alla luce un anno prima il favoloso “Siamese Dream” ma quello fu solo l’apice di una tensione emotiva sempre tenuta a freno).

In un album di questo genere non possono mancare le canzoni più sperimentali, e in effetti le due cover e l’acustica “La Dolly Vita”, che ci culla verso il finale un po’ strozzato con “Spaced” sembrano difficilmente collocabili nell’ormai sterminato catalogo dei Pumpkins. Eppure, ringraziamo la band per questi ripescaggi, che hanno reso notevolmente interessante (oltre che tiratissima) “Girl Named Sandoz” degli inglesi Animals, donandole una grazia acida, e assolutamente struggente e imperdibile la celebre “Landslide” dei Fleetwood Mac. Un gruppo, quello di Mick Fleetwood e Stevie Nicks (quest’ultima autrice del brano in questione) che andava a rivelare quindi la passione dei Pumpkins anche per suoni più classici (soft-rock e pop): aspetto, questo, che verrà  messo in evidenza maggiormente negli album successivi.

Insomma, a conti fatti, “Pisces Iscariot” ha tutta la dignità  di un vero album e ci sta benissimo incastonato fra “Siamese Dream” e “Mellon Collie”…”, di cui fece da volano, rallentandone la crescente e trepidante attesa. In questa “strana” raccolta si sente un gruppo veramente libero di osare, di essere sè stesso, senza inutili ansie da prestazione. Saranno anche canzoni minori come venivano percepite all’epoca ma con tantissimo potenziale e appeal: non a caso alcune di esse sono diventate lo stesso dei piccoli classici del gruppo e, a dirla tutta, potrebbero costituire il best of per altre band mai arrivate agli apici di Billy Corgan e soci.

The Smashing Pumpkins – Pisces Iscariot
Data di pubblicazione:  4 Ottobre 1994
Tracce: 14
Lunghezza: 57:25
Etichetta:  Virgin Records
Produttori: Billy Corgan, James Iha, Kerry Brown, Dale Buffin Griffin, Butch Vig, Ted de Bono

Tracklist:
Soothe
Frail and Bedazzled
Plume
Whir
Blew Away
Pissant
Hello Kitty Kat
Obscured
Landslide
Starla
Blue
A Girl Named Sandoz
La Dolly Vita

Spaced