Guido Catalano nel suo nuovo libro “Poesia Al Megafono” e in particolare nel nuovo spettacolo “Reading di Natale” ha voluto far pace con il Natale. Noi l’abbiamo intervistato per farci raccontare com’è nato il libro, quali sono state le tendenze in poesia di questi anni ’10 del 2000 e per farci spiegare qual è oggi il valore sociale di una “poesia detta al megafono” per strada, in un bar o in un teatro. Guido ci ha immerso in una dimensione della poesia che può e deve essere popolare come una canzone, non elitaria ed esclusiva come spesso si crede.

L’uomo barbuto, brevilineo e occhialuto esce di casa e decide, conscio della sua solitudine,   di iniziare a recitare poesie per strada, ma la poesia “nell’uscire” ha un valore sociale e aggregante?

Si, la poesia per tanti anni è stata considerata come una forma letteraria per pochi, per molto tempo è stata vista come qualcosa di elitario. Per me, già  da 20 anni, è sempre stato un obiettivo portare la poesia in luoghi non convenzionali, dai bar ai locali in cui si suona musica rock. In 20 anni ho letto poesie nei luoghi più assurdi.

L’idea di portare la poesia al pubblico è legata ad un desiderio di sfatare questo mito negativo. Ai tempi in cui ho iniziato non esistevano i social, e nemmeno c’era l’idea da parte di pubblicare qualcosa di grande. L’idea era semplicemente legata all’uscire e leggere poesie in luoghi nuovi, insoliti.

La tua poesia come si lega e dialoga con i luoghi, le strade e le piazze?

La prerogativa di base, i luoghi a cui punta la mia poesia sono i bar, i locali. Non ho mai pensato alla poesia come principalmente legata alla strada. La poesia comunque cambia poco la sua essenza in relazione al luogo, invece la “magia” è legata al rapporto che si crea con e tra il pubblico e non con il luogo in cui la poesia è recitata. Si deve creare un’alchimia con il pubblico, anche in posti completamente diversi e solitamente non considerati dalla poesia e dalla letteratura. Quando durante uno spettacolo quest’unione si compie è meravigliosa.

Spesso nella musica un artista ruba da un altro artista, in poesia invece la citazione e in generale il “saper rubare” ad un altro collega quanto è importante?

Io sono un citazionista, io cito molto più dai musicisti che dai poeti, le mie poesie si ispirano alle canzoni.
La canzone cantautorale mi ispira e io credo che una citazione debba essere sempre esplicita.
Le poesie che ho scritto sono ispirate a Guccini, Vasco Rossi, il mio gioco di citazioni mira ad essere chiaro, riconoscibile.
Una cosa rischiosa è legata all’inconscio perchè spesso si ruba a qualcuno senza rendersene conto, infatti ad esempio quando mi viene una bella idea, io ho paura di “rubare inconsciamente” e vado sempre a cercare se quel titolo o quel verso è stato già  usato/scritto/cantato da qualcuno. Quando cito voglio farlo in maniera chiara, limpida.

In questi giorni si stanno facendo tanti recap sulla musica degli anni ’10, è possibile fare lo stesso discorso in poesia? Com’è andato questo decennio poetico?

Sono successe molte cose in questi anni ’10 poetici in Italia. Io i primi reading li ho fatti nel 2000 e allora si facevano pochissime attività , negli ultimi 5 anni sono spuntati tantissimi poeti che fanno cose simili e le case editrici stanno pubblicando autori giovani e sconosciuti. Alcuni autori hanno sfruttato bene la popolarità  social. Pensiamo a Franco Arminio, che pubblica da tempo ma sta spaccando proprio negli ultimi anni grazie a questo ritorno della poesia.

Ci sono anche tanti insta-poet molto giovani che pubblicano ormai libri e anche se la qualità , in alcune operazioni, non è sempre altissima, succede che gli scaffali della poesia ormai si stanno allargando. I best seller, anche nelle grandi librerie, non sono più legati solo a poeti morti, ma ci sono tanti contemporanei ormai che vendono.

“Prendere in giro la solitudine” scrivi in un verso. La solitudine sembra un pochino il male del decennio, in particolare per quanto riguarda i giovani, la tua poesia come dialoga con la solitudine?

La solitudine non è sempre positiva, ma non è nemmeno completamente negativa.
Per la mia poesia, è vista come una cosa positiva: io ho bisogno di stare solo, di vivere dei momenti completamente isolato. La solitudine comunque è una compagna delicata, non bisogna esagerare nel frequentarla.

C’è bisogno di stare con le persone in carne ed ossa, di toccarsi e di uscire. Io ho un rapporto continuo con la solitudine, può capitare che per 48 ore non parlo con nessuno, ma poi infatti tocca uscire e parlare con persone vere. Anche con i social, in questo senso, bisogna stare attenti, c’è il pericolo alcune volte a vivere contatti solo interfacciati dalle varie piattaforme.

L’idea del reading Natalizio com’è nata?

Ho sempre avuto, in età  adulta, un’antipatia nei confronti del Natale, ho avuto una famiglia meravigliosa che mi ha fatto vivere bellissimi natali, da grande però c’è una disaffezione a questa festa, che è spesso legata solo all’infanzia perchè, durante le feste, si vive un clima molto bello per i bambini. In genere se non si hanno figli si tende a veder male il Natale.
Allora quest’anno è nata l’idea di fare pace con questa festa del Natale, mi piaceva l’idea di sfatare e esorcizzare la paura del Natale, in una poesia dico di entrare in un bunker anti-natale per proteggermi, ecco allora quest’anno grazie al libro è uscita fuori l’idea di fare “pace” con il Natale con una serie di spettacoli. Sono uscito dal bunker insomma.

Che soddisfazione è per te riuscire a comunicare e a salire su un palco non solo facendo il poeta ma riuscendo a mescolare una serie di linguaggi diversi?

è una gran soddisfazione, mi è sempre venuto naturale, è un percorso che ho iniziato da 20 anni e si è costruito con tempo ed esperienza. Quando tutto va bene, durante gli spettacoli, si crea un’energia incredibile con il pubblico, quando si è lì davanti a 200-300 persone si crea uno scambio, un dialogo che mi porta, spontaneamente, a mescolare i linguaggi.

Tornando al discorso legato al decennio in poesia, secondo te qual è la parola del decennio?

Una che hanno sdoganato molto bene è: Paura. Si inizia ad aver paura degli altri, la parola negativa di questo decennio è sicuramente paura. Ti dico questo perchè effettivamente quando mi hai fatto questa domanda mi è venuta come reazione naturale quella di pensare alla paura. Spesso la paura viene utilizzata per dominare le persone, ma questa poi non è una novità  legata particolarmente a questo decennio, purtroppo è già  accaduto nella storia.

Qual è la sfida di un poeta in un mondo che genera informazioni continuamente? La poesia come deve porsi in relazione a questo continuo flusso di informazioni?

La poesia deve aiutare a farci stare insieme, a farci uscire di casa. La poesia ci deve aiutare a farci ritrovare nei luoghi. Il poetry slam, ad esempio, è una cosa che è esplosa in modo incredibile in questi anni e questo è meraviglioso. Il poetry slam incentiva questa concezione a farci uscire di casa e soprattutto a vedere il pubblico come una parte attiva dello spettacolo e, anche se esploso in maniera tardiva, come spesso accade in Italia, ora sta avendo una popolarità  sempre maggiore.

Io non sono un poeta civile, nel senso del politicamente impegnato, io parlo d’amore e serve forse parlare d’amore per contrastare alla rabbia e alla paura. Parlare d’amore non significa scrivere poesie semplici. Sarebbe bello se i poeti stessi apprezzassero che la poesia deve essere qualcosa di popolare e non da rinchiudere in determinati ambienti, la poesia deve vivere in una dimensione popolare come la canzone.