La prima parola che mi viene in mente per definire il concerto appena concluso è “‘assurdo’. Assurdo e fomentante.
Così si presenta agli spettatori la prima tappa del Luglio Suona Bene, il festival estivo che ogni anno l’Auditorium offre ai concertofili romani nella suggestiva cornice della cavea, addobbata per l’occasione con numerose file di sedili, un alto separè su cui campeggia il logo della rassegna e un palco abbastanza solido per accontentare le follie di Adrian Thaws, padre fondatore del Trip-Hop insieme a Massive Attack e Portishead. Anche le nuvole sembrano avere rispetto per questo personaggio, tanto che il temporale pomeridiano cessa proprio al mio arrivo in loco, dove la calca di spettatori attende l’ingresso.
Purtroppo il maltempo obbliga la band a rimandare di un’ora il soundcheck, ritardando l’ingresso del pubblico. Eccellente da questo punto di vista l’organizzazione dell’auditorium, rapida ed efficace, con tanto di hostess sparse per la cavea ad asciugare i sedili.
In breve tempo la situazione si consolida, le luci si spengono e la band sale sul palco. Un chitarrista, un batterista, una bella bassista e un tastierista accendono la serata con la base strumentale di “You Don’t Wanna”, oscuro omaggio a “Sweet Dreams” degli Eurythmics estratto da “Blowback”. Francesca Belmont, vocalist della serata, ondeggia serena sulle note dell’intro, quasi inconsapevole che in due ore dovrà prendere le veci di Martina Topley-Bird e di tante, tante altre grandi interpreti che hanno collaborato con Tricky in quasi vent’anni di carriera.
Finalmente il protagonista della serata sale sul palco, attende il termine dello strumentale e esordisce con una lunghissima e coinvolgente versione di “Past Mistake”. La voce calda spezza la solennità della base, i movimenti sincopati (frutto di impegno drammatico o degli spinelli che fuma per tutta la durata del concerto?) fanno il resto, offrendo una performance degna del suo nome. I sussurri incerti e sensuali della Belmont portano alla memoria la giovane Martina di “Maxinquaye”, senza però riuscire a resuscitarne l’intensità . Seguono bravi dal suo intero repertorio, tra cui le classiche “Black Steel” e “Overcome”.
Affascinato dalla piega che sta prendendo l’evento, comincio a chiedermi se l’inglese ci esorterà ad alzarci in piedi e a seguirlo ai piedi del palco, riscaldando ulteriormente la già calda atmosfera, come già successo con altri nomi coinvolti nella rassegna. Ma Tricky non è un nome qualunque, e se gli altri invitano il pubblico ai piedi del palco, lui li invita SUL palco. E così al sesto brano in scaletta un’invasione di fan scalmanati si precipita sullo scricchiolante palco di legno (ho seriamente pensato crollasse da un momento all’altro) a ballare insieme a lui. Nel delirio generale guida la massa dall’alto, sulla postazione del tastierista, tra le urla degli esaltati e gli sguardi incerti dello staff, che al termine del brano ci invita a scendere.
Da tale momento in poi il concerto prende una piega folle, grottesca, ma al contempo estremamente fomentante. Il pubblico, radunato intorno al palco, assiste ai deliri di Tricky: sporadiche discese tra il pubblico, lunghe passeggiate durante le canzoni, spinte alla vocalist e chiacchierate con il tastierista, improvvisazioni musicali e nuovi arrangiamenti creati sul posto, comandando a bacchetta i musicisti per produrre inedite sonorità . Al tizio vicino a me ruba addirittura il maglioncino.
Durante l’esecuzione di “Pumpkin”, Tricky scompare dal palco, lasciando la povera Francesca in balia degli acuti irraggiunti di una giovane Alison Goldfrapp. Ricompare al termine del brano, mani giunte a ringraziare il calorosissimo pubblico.
Con l’infinita esecuzione di “Vent” termina l’esibizione, più che un concerto un’esperienza che ricorderò per il resto della mia vita. Insieme al terrore che Tricky possa rubarmi il maglione da un momento all’altro.
Credit Foto: Rama [CC BY-SA 2.0 fr], via Wikimedia Commons