Per molti anni mi sono interrogato sulla figura di Steven Patrick Morrissey e come le sue liriche potessero esprimere quanto necessario per farci capire qualcosa di lui, perchè è evidente come il buon vecchio Moz sotto molti punti di vista è stato per tanto tempo un mezzo mistero .
I suoi testi, la sua ricercatezza nella scrittura, l’uso raffinato del vocabolario, l’ aura romantico decadente, le modalità affascinanti ma allo stesso tempo incisive e a volte dure di affrontare tematiche sociali, personali e politiche , non facevano che accrescere negli anni una certa sua dimensione intellettuale e la curiosità nei suoi confronti.
E’ stato così per diverso tempo, una discussione che si auto alimentava tramite le poche riviste che ogni tanto parlavano di lui, fino a quando l’avvento di internet e poi dei social hanno avuto il merito di farmi scoprire che c’era tutta una nuova generazione di fan adoranti, ma, allo stesso tempo, hanno fatto da cassa di risonanza alle sue dichiarazioni e prese di posizione, spesso lontane da quello che si vorrebbe sentir dire da una personalità così sensibile.
Molti finiscono così per dimenticare che la figura di Morrissey è stata costantemente sopra le righe, offrendo fin dal suo inizio artistico visioni quasi sempre provocatorie e disturbanti , “Suffer Little children” o ” The Hand that Rock the Cradle” avevano contenuti molto coraggiosi e furono aspramente attaccate, brani come “The Queen is Dead” o “Meat is Murder ” ponevano tematiche che, condivisibili o meno, si mostravano con una egocentrica visione di quello che è giusto o sbagliato.
La sua carriera da solista non è stata da meno, anch’essa spesso sopra le righe quando si esprimevano pensieri politici , “Margaret On The Guillotine” o visioni ideologiche e sociali “National Front Disco” o a difesa degli animali “The Bullfighter Dies” e che ci mostravano chiaramente in quale modo radicale Morrissey affrontasse le questioni.
Tutto questo lasciando fuori le sue dichiarazioni che gli hanno attirato critiche da chi non lo conosce bene, ma anche dai suoi vecchi e nuovi fan che evidentemente negli anni passati si erano persi qualche passaggio.
E così ti fai un giro su internet o sui social e trovi di tutto, chi gli dà del vecchio rimbambito, chi dell’isterico, chi del vecchio pazzo, chi del fascista, in un festival della banalità che non lascia spazio alla comprensione e alla conoscenza.
Per quanto io stesso non sono in accordo con gran parte delle cose che dice allo stesso tempo non posso non riconoscergli la qualità di riuscire a vedere da un’angolazione personale, di alimentare una discussione, di porsi in maniera polemicamente diversa, di essere vero in maniera disturbante ma allo stesso tempo reale, lontano dal buonismo e dall’offrire la figura dell’artista rassicurante alla quale evidentemente siamo abituati.
” Leave me alone – I was only singing, Leave me alone because I was only singing ” cantava qualche anno fa mentendo a se stesso, perchè Morrissey non vuole essere lasciato in pace, non vuole essere e non è un misantropo, ma soprattutto non vuole essere come un cane legato alla catena.
Arriviamo così all’album, nella title track, “I Am Not A Dog On A Chain” canta “… I am not a dog on a chain, I use my own brain I do not read newspapers, they are troublemakers, Listen out for what’s not shown to you and there you find the truth, For in a civilized and careful way they’ll sculpture all your views “, un bel testo e una bella melodia dove sembra voler mettere un punto definitivo, io sono un individuo, io voglio esprimere la mia singolarità , io sono un narcisista perchè nessuna persona può sviluppare un carattere autonomo e una personalità complessa senza in qualche modo esserlo, tanto più un artista.
Questo è un bel pezzo, funziona bene, parte quasi fosse una marcetta ma poi si riempie, con una chitarra che resta in secondo piano mentre il brano è riempito dalla voce avvolgente di Morrissey, direi che ci siamo mio caro buon vecchio Moz, ci siamo.
I suoi precedenti lavori mi avevano lasciato deluso, “Low in High School” era senza dubbio l’ album più brutto della sua carriera, per certi versi inascoltabile, allo stesso tempo “California Son” a distanza di tempo si rivela alquanto trascurabile, forse qualcuno lo rimette ancora sul piatto.. forse, ma questo “I Am Not A Dog On A Chain” è Morrissey a tutto tondo, molto più vicino in alcuni brani al Morrissey ascoltato agli inizi della sua carriera solista.
Le musiche sono scritte da Jesse Tobias (6 brani) , Gustavo Manzur (3 brani) e Mando Lopez (2 brani) , e in alcuni pezzi vengono menzionati come autori anche Mike Daly e il tastierista Roger Manning, personalmente ritengo migliori i pezzi di Jesse Tobias anche se in questo nuovo lavoro anche Gustavo Manzur sembra cavarsela meglio.
L’album apre con “Jim Jim Falls”, brano poderoso con tanto di elettronica in primo piano e chitarra che quà e là fa capolino per ricordarci del Morrissey degli anni passati, un bel brano, una partenza ottima e un arrangiamento coraggioso, finalmente.
“Love is on its Way Out” l’avevamo già ascoltata, e devo dire che sta acquistando valore ascolto dopo ascolto, la voce di Morrissey è come sempre avvolgente e soprattutto nella parte finale, tolta la chitarra spagnoleggiante che Manzur si ostina ad apparecchiarci, che tu sia simpaticamente maledetto, si accende e qualche brividino riesce a darlo.
“Bobby, Don’t You Think They Know?” è valorizzato dalla voce di Thelma Houston, pur non piacendomi particolarmente ha i suoi momenti interessanti, molto meglio la title track “I Am Not A Dog On A Chain”, Jesse Tobias firma tra i pezzi migliori degli ultimi anni .
“What Kind Of People Live In These Houses?” e “Knockabout World” ambedue a firma Jesse Tobias, sono i brani che maggiormente ci riporta in zona The Smiths, e la cosa non fa mai male a noi, si fa per dire, disperati, soli e tenacemente nostalgici.
Cito per concludere anche “Darling, I Hug A Pillow” scritta da Mando Lopez, che, se solo qualcuno avesse consigliato di togliere l’inutile tromba sarebbe stato anche un ottimo brano dream pop, e “Once I Saw The River Clean” perchè ci dà l’idea di come si sia cercato una via elettronica e arrangiamenti più coraggiosi, pur mantenendo sempre la splendida voce di Morrissey in primo piano.
Un posto particolare lo riservo a “My Hurling Days Are Done” perchè riassume un tema che fa capolino in tutto l’album, Morrissey canta “ …Time will send you an invoice, And you pay with your strength and your legs and your sight and your voice ” esprimendo il sentimento di chi si appresta ad attraversare un momento particolare della propria vita, che vedi velocemente scorrere tra le tue dita.
Non so cosa volete voi da Morrissey, per quanto mi riguarda non chiedo che la pensi come me, che le sue idee soddisfino le mie aspettative, che sia la persona che mi aspetto che sia, mi basta che la sua voce e i suoi testi sappiano donarmi momenti di piacevoli riflessioni e sinceramente, anche se l’antipatia che provate nei suoi confronti potrebbe influenzare il vostro giudizio, anche voi dovrete ammettere che questa volta c’e’ riuscito.
Credit Foto: Donnie Knutson