I Fiori di Cadillac tornano a distanza di sette anni dal primo, e unico, disco. Oggi una distanza tale equivarrebbe a considerare “Fuori dalla storia” come un nuovo esordio e in fondo lo è anche: più impostato e movimentato rispetto al precedente e con un’impronta elettronica decisamente al passo con i tempi. Si instaura, però, un pensiero più generale, ovvero su cosa spinga una band a rimettersi in gioco con un album dopo anni, molto banalmente se ne valga la pena, considerate le numerose uscite settimanali che accompagnano il mercato discografico italiano: l’etichetta INRI ha creduto nel progetto e la band salernitana ha confermato questa intuizione.
Molto attuali, i FdC raccontano la quotidianità delle incertezze, dei progetti destinati a rimanere nelle note dello smartphone (“Martini”) e della vita nel limbo tra adolescenza ed età adulta – con il ritornello di “Cloro” come manifesto dell’inerzia generazionale -.
L’album naviga in terreni fumosi, anestetizzati (“Cosmetici”), lisergici (“Fuori dalla storia”) senza mai trovare un guizzo che esalti il lavoro come dovrebbe; con un’attenzione, inoltre, che rischia di calare alla lunga, salvata però dall’elettronica intrisa di pop di “Stretching” e dalla ballad “La Festa” che regala un pregevole inizio di chitarra per poi svilupparsi in un flusso di coscienza che vede l’apice con «Se solo avessi altro tempo, credo che lo sprecherei comunque ». Touchè.