Diamo il bentornato al buon Tom Lugo e ai suoi compagni di avventura Bob Forman e Rob DeFlaviis. In questi tempi cupi si rifanno vivi i veterani Stellarscope che, fin dal titolo, cercano di infondere ottimismo con la frase “A glimpse of light in the darkness”. La cosa potrebbe sembrare un po’ strana con loro, visto che da sempre la band ha mostrato grande affinità verso l’oscurità , la claustrofobia, la sensazione di soffocamento e di oppressione, ma, questa volta, complice forse il periodo che stiamo attraversando, il trio è meno oppressivo, anzi, apre davvero inaspettati squarci di luce.
Intendiamoci, gli Stellarscope non rinunciano alle loro carte migliori. Uno shoegaze dalle tinte lo-fi, con un ritmica spesso intensa e chitarre che sanno farsi sature e deraglianti, ma questa volta Tom lavora molto più accuratamente sulle melodie più che sulla sensazione che un brano può trasmettere. Se prima il buio rappresentava una dimensione da cui era impossibile fuggire e l’adattamento era necessario per sopravvivere, ora il buio di partenza diventa invece elemento finalmente plasmabile, materia nella quale trovare anche il conforto di un bagliore che ci può far sperare in momenti e attimi migliori.
Diciamo questo alla luce (perdonateci il gioco di parole) di un suono che, non perde l’impatto sonico, ma sa anche farsi più morbido e avvolgente, quasi a forte contatto con un dream-pop che ci spinge ad aprire gli occhi e non più a chiuderli per non vedere quello che ci circonda. “Nothing Left” con la sua chitarra acustica, i riverberi morbidi di “I’m Sorry”, il ritornello splendido che taglia davvero l’oscurità in “Stars Collide”, la brezza fortemente sonica che si sviluppa nell’avvolgente e malinconica “Eclipsed”, la popedelia suggestiva di “When All Was Lost” con assalto shoegaze finale dallo spirito assolutamente liberatorio, sono indizi che qualcosa è cambiato, sono spiragli di ossigeno che ci riempiono i polmoni e ci rinforzano.
Poi come si diceva i fan della band troveranno pane per i loro denti, dal fragore iniziale di “Lost My Way”, alla botta ritmica e sonica di “Sweet Surrender”, passando per la circolarità direttiva e fredda di “Never see another day” o l’assalto finale di “It’s not heaven”.
Non è ancora tempo di sfoggiare sorrisi per gli Stellarscope (forse non arriverà mai questo momento!), questo lo abbiamo capito, ma che nell’approccio della band si facciano largo anche nuove dinamiche, beh, non può che farci assolutamente piacere!