Genuinità da quarantena. Ecco cosa sono state le canzoni di Arianna Poli in questa strana, paradossale finestra spazio-temporale. Nella composizione semplice dei brani non c’è nessuna pretesa, ma l’essenziale semplicità nel raccontare una storia costruita con le parole giuste. Dopo aver approfondito il suo ascolto, in questi giorni ci siamo fatti una bella chiacchierata sul suo ultimo ep “Grovigli”, sul senso del periodo che stiamo vivendo e su altre piccole e grandi cose.
Ciao Arianna, com’è nato il tuo progetto e quando hai iniziato a sentire l’esigenza di cantare i tuoi brani?
Diciamo che lo scrivere canzoni e l’andare a cantare è nato un po’ per scherzo. Avevo un gruppo all’inizio del liceo ed eravamo giovani e spensierati, non c’era la minima pretesa di trasformare tutto questo in un lavoro. Un giorno nella sala prove di Ferrara che si chiama Sonica è venuto il ragazzo che faceva il fonico e visto che già ci conoscevamo da un po’ mi ha chiesto se mi andasse di registrare dei pezzi e vedere cosa succedeva. Così un pochino per scherzo abbiamo iniziato a registrare e giorno per giorno dopo un anno ci siamo ritrovati con un disco. Abbiamo deciso poi di far nascere questa cosa, anche se inizialmente era nato tutto per gioco.
Un aspetto interessante mi sembra il tuo rapporto con Ferrara. Come vivi la tua città e come ti ha influenzato?
Io voglio molto bene alla mia città , ho un sentimento molto forte nei confronti di questi territori, non solo per Ferrara ma anche per l’Emilia e tutto ciò che c’è intorno. Spesso cerco di metterla in quello che faccio, provo a rendere giustizia a tutto questo amore, però è difficile perchè ho paura di sminuire o non riuscire a dare al 100% l’idea di quello che rappresenta per me questo territorio. Ferrara come posto mi ha aiutato tantissimo a crescere: i circoli, gli ambienti e i luoghi dove sentire musica sono stati fondamentali, ringrazio veramente di essere riuscita a passare gli anni della mia adolescenza in una città così piena di stimoli.
Da poco è uscito il tuo EP “Grovigli” come si integra questo lavoro che avete fatto con Ruggine (primo disco uscito nel 2018)?
“Grovigli” nasce come una necessità di tirare le somme di quello che ci è successo nell’ultimo anno e mezzo. Perchè “Ruggine” sicuramente era strumentalmente più ricco ma dopo che siamo andati in tour io e Samuele, il ragazzo che gestisce anche lo studio e che si occupa della parte tecnica, per un anno e mezzo con il disco sentivamo l’esigenza di raccontare come ci siamo adattati alla situazione del tour e ai live. “Grovigli” è la necessità di esprimere il cambiamento che c’è stato durante tutto il periodo in giro per i live, ma è anche una presa di coscienza nei confronti delle nostre canzoni.
Questo periodo che stiamo vivendo può essere e rappresentare un’opportunità ?
Può avere aspetti positivi quando ci rendiamo conto che lo stare in casa può aiutare a sviluppare un’emotività diversa. Un lato positivo è il ritrovare umanità in quello che facciamo e sentiamo: spesso con la frenesia della routine tendiamo a lasciare fuori tutto ciò che di romantico ci succede. La lentezza di questo periodo ci sta dando un po’ l’opportunità di riscoprirci.
In questo momento cosa stai ascoltando e come poi processi questi ascolti per scrivere le tue canzoni?
Sto facendo fatica nell’ascoltare sempre la stessa musica e le sonorità simili. Io da quando praticamente mi sveglio, qualsiasi cosa faccio, ho bisogno di ascoltare musica. Ultimamente però sto diventando molto precisa e per ogni momento ho bisogno della canzone giusta, allora provo anche a cercare cose che nemmeno pensavo potessero esistere per scandire al meglio ogni momento della giornata. Diverso è invece l’ascolto della musica quando sto scrivendo: solitamente è qualcosa di molto distante dallo stile in cui poi scriviamo e componiamo i pezzi. Ovviamente poi il bello è che anche in cose molto distanti si riesce a trovare qualche spunto interessante per essere estrapolato.
Qual è stato l’aspetto più difficile dell’iniziare a raccontarsi nelle canzoni?
All’inizio ho avuto molta difficoltà perchè quando facevamo cover con la mia prima band cantavamo tutto in inglese e quando usi un’altra lingua è più facile perchè magari non tutti capiscono al 100% e questa è una barriera tra me e il pubblico. Quando ho iniziato a scrivere in italiano tutto era comprensibile e dato che ho sempre messo nei pezzi anche le parti più intime e personali, essendo molto introversa, questa è stata una difficoltà grande che tuttora si fa presente. Ogni tanto rileggo i testi e penso che forse dal testo si capisca troppo e quindi mi sale un pochino di imbarazzo.