Henry Jamison proviene da una famiglia di compositori e musicisti ed è stato naturale anche per lui seguire la strada di molti suoi parenti: già  durante le scuole elementari il folk-singer nativo di Burlington, Vermont, infatti, aveva realizzato una cassetta autoprodotta.

Il suo primo album, “The Wilds” risale all’ottobre del 2017 a cui si devono aggiungere un paio di EP, una manciata di singoli e tour sia negli Stati Uniti che in Europa: a maggio, via Color Study, l’etichetta fondata dal suo manager Spencer Kelley, il musicista ha pubblicato un nuovo lavoro sulla breve distanza con cinque nuovi pezzi e in ognuno di essi è accompagnato da ospiti importanti.

I testi delle sue canzoni sono molto personali e questo le rende più intime, ma lo stile dei suoi brani varia: la opening-track, “Still Life”, per esempio, gode delle armonie create dalle Joseph e di momenti riflessivi, mentre quel suo falsetto di boniveriana memoria sa come emozionarci in maniera notevole.

Un folk molto più semplice e classico, ma non meno toccante ed efficace, invece, quello della successiva “Green Room”, che vede la presenza di Ed Droste dei Grizzly Bear: qui i toni ci riportano alla mente certe canzoni dei Fleet Foxes.

La title-track “Tourism”, con la partecipazione di Fenne Lily, è una ballata profonda e sentimentale che vede apparire anche il banjo, mentre la conclusiva “Orchardist”, insieme a Lady Lamb, cresce e diventa più intensa nei toni, senza perdere la sua grande passionalità .

Con “Tourism” Jamison mostra il suo valore e le sue sincere emozioni, aiutato da ottimi nomi della scena folk a stelle e strisce e ci regala un quarto d’ora abbondante di sentimenti raffinati ed eleganti.