La formazione cosentina che aveva stupito con quel “Tob Was My Monkey” dall’anima puramente stoner, torna in una veste nuova, prodotti dal buon Andiloro, già nel dietro le quinte di lavori di Verdena, Vinicio Capossela, Afterhours e Armstrong?, tra gli altri. Il contributo del produttore triestino, sommato al mastering del celebre Steve Fallone, danno un sound completamente diverso ai Miss Fraulein, che si ripresentano in una veste più classica, un rock dalle venature alternative ma più ancorato alle sue forme tradizionali. Il clima che si respira, tendenzialmente, è piuttosto pop e lo si sente nella quasi punkeggiante “Battle On Ice”, lontanissima dall’ispirazione Kyuss che li aveva lanciati sul mercato come una delle band di punta del settore; lo si percepisce anche in “Human Hunter”, un’ottima ballad pseudoacustica dai toni anche post-grunge, volendo. O anche degli Stone Temple Pilots dei bei tempi.
Non si poteva però pensare che lo stoner degli esordi se ne fosse andato completamente, ed eccone infatti qualche sprazzo spuntare fiero da “Sleepy Golden Storm” e “In Confidence”, tra i brani più ruvidi nonostante dei momenti più quieti che rendono quasi antagonista il momento graffiante del brano, creando un effetto di estraniamento che dona una veste piuttosto originale al prodotto. Ottima “My Lover”, nonostante una linea vocale fragile, a rivivere le atmosfere della Seattle di inizio anni ’90 pur senza quel sound troppo grunge che avrebbe sicuramente fatto accostare il brano ai Pearl Jam o ai Soundgarden. Qui siamo più vicini ai Queens of The Stone Age, ma non ditelo a nessuno. E infine le derive ambient della title-track, in conclusione, che si schianta comunque nel finale sugli scogli grunge vecchio stampo che, in questo caso, toglie respiro ad un brano che altrimenti avrebbe vinto il premio originalità tra gli undici di questo “The Secret Bond”.
Se una delle definizioni più adatte ad un album come questo sarebbe effettivamente ‘southern rock’, l’aria che si respira rimane quella stoner, anche se i brani sono composti nel delirio di un confezionamento pop e grunge, forse per distaccarsi dalle origini. La produzione conferisce un aspetto più tetro e contemporaneamente enormemente nervoso a questo lavoro, di per sè potentissimo e più simile ad un live che ad un disco in studio (effettivamente è stato registrato in presa diretta proprio per rendere in questa maniera). Nell’album stereotipi presi dalle band ascoltate dai calabresi, ma anche un padroneggiamento perfetto dei loro strumenti e della penna, che utilizzano in maniera magistrale per produrre alcuni brani memorabili, dando sfogo a tutta la loro percezione distorta della realtà rock italiana. Infatti, è come se qui non ci fossero mai stati. Ottimo sforzo per una band che può ancora dare di più.