Vi svegliate con le cuffie che bollono sulle orecchie, un odioso sapore di spuma marina in bocca e una decina di scimmie spaziali che vi guardano in modo alquanto interrogativo. Qualcuno sta sfasciando sulle rocce bollenti l’ultimo esemplare di Stradivari e voi cominciate a sudare sangue dalla fronte. Nel vostro cervello c’è l’aridità del gran Canyon e nel lettore portatile un barlume perenne. Stavolta sono i Franklin Delano. Buone vibrazioni da una canzone come “Your Demons”; cresce dentro di te una voglia di prendere dal mondo le cose belle e fregartene di tutti gli altri casini.
Un blues estremamente figlio dei fiori in alcune parti; una coda sonora corale e colorata: infarcita di piano elettrico, organo, viola. Una marcia instancabile, dinamica, sudata. C’è del pop. C’è molto folk contaminato in un modo che qui nello specifico viene chiamato “treatment”. C’è una buona ricerca delle melodie più interessanti. Purtroppo in un paio di episodi c’è anche il banjo (mio Dio ma perchè mai esiste il banjo?). Psichedelia che bussa forte a volte. Psichedelia che si presenta sotto le mentite spoglie di una cappuccetto rosso qualsiasi.
“Salve! Sono una tranquilla canzoncina altalenante con le trecce” e poi tira fuori le distorsioni quando meno te lo aspetti (“Eight Eyes”). Registrato a Chicago, questo disco cerca con cura un punto preciso contro cui sfogare tutte le sue varie ambientazioni sonore (l’avevo già accennato al fatto che ci sono anche gli strumenti a fiato tendenzialmente gioiosi, orchestrali e pseudo celebrativi?). Anche la più semplice delle ballate ha nella spina dorsale un effetto della chitarra, un retrogusto sperimentale nell’aria, che la rende”…altro. Questo potrebbe rappresentare il maggior pregio e allo stesso tempo il maggior difetto di una produzione difficilmente classificabile entro schemi-nomi precisi e definitivi. Bravi ragazzi!