A mio modo di vedere, l’errore in cui il fan, ma anche il collega recensore, non deve assolutamente incorrere è quello di paragonare i bei tempi che furono con questo undicesimo album delle Zucche, e non mi riferisco soltanto ai capolavori grunge-rock della prima fase, ma anche a quelli dell’ultima che, fatta eccezione per il passabile “Monuments To An Elegy” del 2014, hanno comunque visto negli altri lavori, quali l’EP “America Ghotic”, “Oceania” e “Shiny and Oh So Bright, Vol. 1 / LP: No Past. No Future. No Sun” (“Zeitgeist” meriterebbe un discorso ancora più a parte), un nuovo corso probabilmente il più delle volte sottovalutato. Purtroppo in molti inevitabilmente cadranno nell’errore.
Ciò premesso, ca va sans dire che “Cyr” va, dunque, collocato in una dimensione assolutamente a sè stante, lontana pure dalle sperimentazioni rivoluzionare (per l’epoca) ed evolutive del gioiellino “Adore” (per quanto ne dica il buon Billy), scevro da qualsivoglia condizionamento con il passato e sviscerato (per chi ne avesse voglia) in ogni singolo episodio ancorchè i venti brani possano sembrare troppo semplici, lineari e accomunati dallo stesso leitmotiv. Ed è esattamente quello che ascolterete, ma è innegabile che il maestro Billy, con il savoir-faire che gli si addice, confeziona discrete melodie che si districano tra synth e beat – sorretti dal suo caratterizzante ed inconfondibile timbro e da una scrittura dignitosa – che a volte si dimostrano di buona fattura come l’oscura “Wyttch”, o con il pop “elettrificato” di “Anno Satana” o con la “neworderiana” “The Colour Of Love” le quali, guarda caso, sono le tracce nelle quali è possibile rivenire la “contaminazione” della chitarra di James Iha, richiamato alle armi per l’occasione.
Certo, anch’io sono stato tratto in inganno dal ritorno nella line-up di James, dal quale mi sarei aspettato un impatto più chitarristico. In realtà , è alquanto pleonastico girarci intorno ma i Pumpkins sono sempre stati Corgan dipendenti, per lo meno quelli dagli anni duemila in poi, risentendo degli umori “musicali” che in quel preciso momento storico/musicale ronzavano nella testa di Billy.
Certo, qui il completo abbandono delle sei corde e della batteria sostituita spesso da una insistente drum machine, rischia di lasciar senza fiato (anche se non è opportuno dirlo in questo periodo) anche al più tollerante dei “grunger-pop”.
Sarete travolti, nel coacervo di recensioni, da parole dure, a volte offensive, e senza appello per i Pumpkins, molte delle quali vi porteranno a sentenziare il punto di non ritorno toccato da questo “Cyr” il quale, a parer mio, proprio nella title track ha segnato la svolta, il coraggio, diciamo, di “metterci la faccia”. Supportato dalla corposa batteria di Jimmy Chamberlin, Cyr”, che a voler dirla tutta pare prestato dai Depeche Mode meno ispirati (peraltro udibili anche nella riuscita “Telegenix”), è un brano che non se non fosse stato dei Pumpkins avreste di sicuro apprezzato, nel suo semplice e diretto lato pop-rock. Perchè, ripeto, di questo stiamo parlando, di un disco pop.
Orbene, la pressochè totale assenza di riff, il verso monocorde che sembra accompagnare tutto il full-length e, soprattutto, il fatto che siamo in presenza di un album doppio farà invocare a molti di voi il martirio perchè, probabilmente, starete pensando a quale gravissimo torto vi sta facendo il caro Billy.
Mettetevi l’anima in pace e indossate le vostre cuffie lasciandovi trasportare da ciò che di buono c’è in questo disco, perchè se è vero che il minutaggio alla lunga inizia a diventare eccessivo e a tratti inconcludente nei suoi punti deboli – i clap di “Starrcraft” infastidiscono oltremodo mentre quelli in “Tyger, Tyger” sembrano usciti da una tastiera Bontempi o nella ruffiana “Dulcet in E” oppure, ancora, nel EDM di “Adrennalynne” – sono comunque presenti dei passaggi di buon synth pop con i cori femminili a contorno, affidati a Katie Cole e Sierra Swan (Dollshead, Black Eyed Peas), che riuscirete ad apprezzare già partire dalla note psychedelic pop di “Confessions of a Dopamine Addict” o dal singolone mid-tempo “Ramona”. Più in alto di tutti, invece, si staglia il trittico composto da una efficace quanto intimidatoria “Purple Blood”, dalla mistica “Save Your Tears” e dal piglio anni ottanta di “Schaudenfreud”, mood che avvolge in verità tutto il disco.
Seppur colorato a tinte fin “troppo” catchy, non potrete fare a meno di ricordarvi i refrain, non certo irresistibili ma incalzanti, di “Wrath”, “Minerva” e della citata “Dulcet in E”.
“Cyr” è il non album degli Smashing Pumpkins, quello che non ti aspetti, probabilmente quello che non vorresti mai sentire dalle Zucche. “Cyr” gira intorno a Corgan, vero deus ex machina, il quale ha voluto “minare” con la sua personale visione di modernità l’intoccabilità di una band come i Pumpkins. “Cyr” è un’abbuffata pre-natalizia di musica elettronica che, seppur non funziona nella sua totalità dei brani, funziona per il resto, tramite la sua schiettezza e “irritante” sobrietà e, soprattutto, per la sua innata imponderabilità .