Sembra incredibile a dirsi ma, dopo venticinque anni di onorata carriera e una quantità  spropositata di album dati alle stampe, l’avventura dei Joan Of Arc è giunta al capolinea. L’atto finale della band di Tim Kinsella si intitola “Tim Melina Theo Bobby” ed è stato scritto e registrato con lo spirito di chi sa di essere sul punto di concludere un periodo lungo e importante della propria esistenza artistica. Una sorta di epitaffio quindi, privo però di quelle ombre mortifere che spesso attanagliano i testamenti musicali.

Questo disco infatti non può di certo essere paragonato al triste saluto di chi non ha più nulla da dare al mondo. A un passo dalla pensione i Joan Of Arc continuano a mettersi alla prova e sorprendere, portando ancora verso nuovi confini il loro art rock astratto e sperimentale. Ma si può davvero parlare esclusivamente di art rock, in questo caso? Quello che ci viene proposto da Kinsella, Melina Ausikaitis, Theo Katsaounis e Bobby Burg è un genere talmente ricco di influenze e idee da rasentare l’indefinibile.

In questo disco c’è tutto, di più e forse anche troppo, nonostante la mezz’oretta scarsa di durata. A volte il quartetto di Chicago si perde nel labirinto dell’ispirazione, calcando la mano sul versante “stravagante” del proprio stile. Ciò avviene soprattutto nei brani in cui è l’elettronica a farla da padrona: “Feedback 3/4” e “Cover Letter Song”, tanto per fare un paio di esempi, sembrano più degli interessanti work in progress che non dei brani finiti.

Gli episodi più aspri e rumorosi del lavoro sono tutti da promuovere (in primis le schitarrate noise di “Something Kind” e il funk strampalato della strumentale “Land Surveyor”), ma se cercate il meglio di “Tim Melina Theo Bobby” gustatevi le non poche parentesi di dolcezza riservateci a mo’ di dessert dai Joan Of Arc. La tenerezza “pavementiana” di “Destiny Revision” e le tenui note di folk sintetico che caratterizzano “Creature And Being” hanno un che di tranquillizzante, come fossero gocce di balsamo per l’anima.

Le visioni psichedeliche di “The Dawn Of Something” e la sognante pacatezza di “Rising Horizon” riescono però in maniera più efficace a calarci nel multiforme universo musicale dei Joan Of Arc; le evoluzioni sonore che lasciano presagire, purtroppo, sono destinate ad andare perdute come lacrime nella pioggia. Qualche rimpianto c’è ma, in fin dei conti, quello che abbiamo tra le mani è un addio decisamente soddisfacente. Dieci tracce di rock sperimentale ispirato e pieno di vita: chi temeva uno struggente canto del cigno può andare a dormire sereno. Non ci resta che salutare e fare un grande in bocca al lupo a Tim, Melina, Theo e Bobby: come direbbero gli ABBA, Thank you for the music.

Credit foto: Chris Strong