Il viaggio è dentro ciascuno di noi, è l’unica esperienza che può accrescere le nostre conoscenze. Al di là dei luoghi attraversati e visitati, il viaggio si esplica anche lungo un percorso intimo e personale che ci porta a toccare la nostra essenza primordiale, quella stessa essenza che, spesso, senza neppure rendercene conto, tentiamo di cambiare o addirittura reprimere, convinti che sia sbagliata ed inadeguata, in quanto non rispecchia, a pieno, quelli che sono i modelli e gli standard “suggeriti” dalla società di cui siamo parte. Una società , nella quale l’aspetto materialista e quello formale sono sempre più determinanti ed invasivi e ci impediscono, di conseguenza, di comprendere veramente noi stessi ed ascoltare la voce del nostro inconscio, a causa delle barriere mentali che abbiamo costruito e da cui, sempre più frequentemente, si generano ansie, angoscie, disturbi e depressioni.
Il viaggio non avrà mai termine, dura quanto la nostra stessa esistenza, in un susseguirsi di destinazioni che prendono via, via consistenza dinanzi ai nostri occhi ed al nostro cuore. Sappiamo che quest’album, intriso di atmosfere e sonorità blues e folk, di un cantautorato rarefatto e crepuscolare, è stato concepito proprio durante un viaggio, per cui si avvertono sia i sapori dolci dei nuovi luoghi che vengono via via scoperti e dei sentimenti che essi suscitano nell’animo recettivo del viaggiatore Phill Reynolds, sia i sapori più amari della separazione fisica e della distanza dai propri affetti più cari. Questo velato romanticismo si intreccia con le strade polverose e le notti solitarie, con le chitarre che tentano di esorcizzare le esperienze più dolorose e sofferenti nelle quali ci imbattiamo lungo il nostro cammino. Il viaggio, infatti, non è solo un susseguirsi di posti incantevoli ed incontaminati, ma è anche fatto di uomini e donne, di vecchi e bambini, di molteplici solitudini, di paesi abbandonati a sè stessi, di città che diventano sempre più aride, più caotiche e più disumane. Ognuna di queste crude esperienze è una visione, una mano invisibile che scuote o accarezza il nostro animo, che scuote ed accarezza le corde della chitarra, riportando in superficie i nostri ricordi, le nostre aspettative future, i dubbi e tutto ciò che ci siamo lasciati alle spalle: a casa nostra oppure in uno qualsiasi dei luoghi nei quali ci siamo fermati.
Queste emozioni plasmano e rafforzano il nostro spirito, ci permettono di diventare più riflessivi, di non cedere, immediatamente, agli atteggiamenti più estremi, selvaggi ed impulsivi; quelli più distruttivi, che impediscono, nei momenti oscuri e dolorosi, di cogliere le opportunità che, comunque, la vita stessa, intesa come viaggio, ci mette davanti e dalle quali possiamo, nonostante il dolore, provare a ripartire. Ogni qual volta qualcosa a cui tenevamo particolarmente si rompe e va in frantumi, siamo costretti a raccoglierne i frammenti taglienti; ebbene possiamo utilizzarli per ferire coloro che pensiamo ci abbiano fatto tanto male oppure possiamo utilizzarli per specchiarci, per capire cosa ci è successo, per vedere cosa siamo diventati e comprendere cosa possiamo fare, ora, per migliorare.
Il dolore è un grembo gonfio dal quale può sempre nascere la purezza di una nuova vita. Di un nuovo viaggio.