Nel 1993, il mondo del rap fu sconvolto da un disco epocale, “Enter the 36 Chambers”, realizzato dal Wu-Tang Clan, supergruppo di 9 perfetti sconosciuti imbevuti di cultura di strada e di film di kung-fu anni ’70 provenienti dal quartiere più sfigato di New York, Staten Island. Con quel disco cambiarono il suono del rap, ed in seguito lo monopolizzarono realizzando uno dietro l’album solisti, di qualità alterna. Dennis Coles, 40enne in arte Ghostface Killah, o se preferite Ghostface, Ghost Deini, Ironman, Tony Starks, Starky Love, Pretty Toney, P Tone, The Wallabee Kingpin, è l’unico che (eccetto forse “Ghostdini: Wizard of Poetry in Emerald City” del 2008) non ha mai sbagliato un disco. Ultimo ad esordire da solista (eccetto l’Abate RZA, il produttore mente assoluta del progetto Wu-Tang) con “Ironman” nel 1996, è colui che ha tenuto alta la bandiera del Clan negli anni bui a cavallo tra la fine dei 90 e l’inizio del 2000 con gran dischi come “Supreme Clientele e Bulletproof Wallets”, ed ha continuato a produrre senza sosta e con ottimi risultati per tutto il primo decennio degli anni Zero.
Tutto questo preambolo è per farvi capire che non ci troviamo di fronte ad una ex star in cerca di riscatto o all’ultimo giovincello delle campagne del sud che imbrocca una hit con due suoni di synth, come va tanto di moda in America. GFK mette insieme un disco pregno di soul e stile, come suo solito, si concede il lusso di produttori immortali come Pete Rock e alfieri della nuova generazione come Scram Jones e Jake One, più un manipolo di (perlomeno al sottoscritto) perfetti sconosciuti, e confeziona 12 tracce per quasi 41 minuti di rap di ottimo livello.
Anche le partecipazioni sono ottime: i compagni di Clan GZA, Raekwon (che come al solito appare in più tracce), U-God e Method Man, gli affiliati Killah Priest, Cappadonna e Trife Diesel, le stelle Redman, Busta Rhymes e The Game, il sempreverde Sheek Louch dei Lox, Joell Ortiz (una delle più belle sorprese degli ultimi anni), Jim Jones dei Dipset (a mio avviso unica nota decisamente stonata) e soprattutto Black Thought dei Roots, che si aggiudica la palma di miglior featuring del disco su “In Tha Park”. Io dico ascolto consigliato, ed uno dei migliori dischi dello scorso anno, sebbene uscito solo a dicembre.