In molti la considerano la Zola Jesus italiana, ma l’accostamento non ci ha convinto del tutto, come abbiamo evidenziato nella recensione del suo plumbeo album di debutto, “Faded Heart”. Mushy, eterea voce dell’underground musicale romano e grafica della Mannequin Records, ha infatti mostrato alcuni punti in comune ma molte più differenze con la streghetta americana, ed anche un non comune talento che potrebbe ancora crescere e regalarci graditissime e “nebbiose” sorprese. E se durante la stesura delle domande ci immaginavamo una figlia delle tenebre chiusa in se stessa e scostante, invece abbiamo trovato un’artista dai modi solari e dall’inaspettato candore. Ecco a voi la nostra intervista.
Ti senti vicina a questi artisti che abbiamo citato sotto la recensione di “Faded Heart” -e cioè (a parte Zola Jesus) Cocteau Twins, Lycia, Salem, Black Tape For A Blue Girl, Dead Can Dance-?
Sì, specialmente Lisa Gerrard dei Dead Can Dance per la voce, ed anche i Cocteau Twins. Poi ho ripreso parecchio certe modalità di trattamento della voce (tipicamente molto dilatata e riverberata) dello shoegaze. Il disco comunque presenta delle influenze tratte anche dalla musica psichedelica, dal prog rock, dalla musica cosmica tedesca (Klaus Schulze, Tangerine Dream). Oltre a ciò ho aggiunto anche delle schitarrate che forse non c’entrerebbero molto con la musica elettronica. Comunque io non riesco a inquadrare una influenza principale che mi ha ispirato per l’album. Anche se non riuscirò mai ad arrivare a quei livelli mi hanno ispirato molto anche le voci potenti come quella di Nina Simone (mi piacciono molto le voci nere). Poi a livello concettuale mi ha influenzato molto il blues, che presenta sempre quei loop circolari di chitarra e dei testi “lamentati” che possono parlare di una situazione personale o generale, anche se la costruzione tecnica dei pezzi blues è certamente diversa da quella dei miei (è stata più una questione di attitudine).
La tua voce appare molto soffocata dai suoni. Pensi di renderla meno “ectoplasmica” nei prossimi lavori?
C’è un motivo per il fatto che uso la voce in questo modo. Prima di questo album io non avevo mai utilizzato la voce seguendo un testo ma piuttosto producevo dei vocalizzi, e la cosa non mi creava problemi. Nel momento in cui questo tipo di approccio cominciava a starmi un po’ stretto perchè sentivo che tutto stava diventando troppo ripetitivo (non mi piace ripetermi sempre) avevo pensato di chiamare un’altra persona che cantasse per me. Non una donna ma un uomo, perchè mi piaceva l’idea di invertire i ruoli, così da avere una figura femminile che si occupasse della musica e una figura maschile che si occupasse del canto. Nella mia ricerca ho trovato delle bellissime voci maschili, però non ho trovato quella voce che si addicesse perfettamente ai pezzi che stavo componendo. Allora pian piano mi sono fatta coraggio e ho iniziato a utilizzare la mia voce però sempre in modo poco riconoscibile (anche se ho avuto diverse pressioni per usare meno riverbero”…). Oggi forse ho sviluppato una maggiore sicurezza, ma sinceramente non ho proprio idea di quali scelte farò in futuro. Sicuramente come ti ho detto non mi piace ripetermi, però staremo a vedere”…
Come sei diventata la grafica della Mannequin?
La Mannequin è nata nel 2009 con l’intento di voler stampare compilation di synth e minimal wave italiana degli anni 80 (come già avevano fatto altre etichette estere). Inizialmente aveva affidato gli artwork a un grafico con cui però c’è stato un problema di coordinazione dei tempi, e che quindi si è dileguato. Trovandosi alle strette con una release in procinto di uscire (“Danza Meccanica”), l’etichetta mi ha dato carta bianca per realizzare le grafiche, sapendo che studiavo architettura e quindi avevo già sviluppato una propensione per l’uso dei software, dopo avermi illustrato un concept iniziale e avermi messo a disposizione una serie di fotografie di danza aerofuturista. In realtà uso Autocad che è un programma non per la grafica vera e propria ma serve per i progetti architettonici. Comunque da quel momento poi è iniziata una collaborazione stabile tra me e l’etichetta.
I tuoi testi (ma lo si nota anche solo leggendo i titoli delle canzoni), sembrano riferirsi sempre a un qualcosa (o forse una presenza?) di inafferrabile o comunque sfuggente, preda delle fiamme della caducità (la metafora del fuoco che ricorre più d’una volta). Nel pur sempre tutto sommato cupo Ep dello scorso anno l’artista a cui ti accostano sempre, Zola Jesus, è stata capace di trovare in qualche modo una sua via di fuga dalla malinconia (penso alla carica catartica della voce della Jesus in “Manifest Destiny”, ad esempio”…). Ti senti sempre a tuo agio nascosta tra le malinconiche nebbie dei tuoi synth oppure cominci a sentire che vorresti uscirne?
Durante la registrazione del disco, che è durata un anno, ero in una condizione particolare”…non di depressione, però ero coinvolta in delle situazioni irrisolte che mi rendevano irrequieta. Come hai detto tu c’era qualcosa che mi sfuggiva e avrei voluto tenere con me”…questa cosa mi ha ovviamente influenzato nella composizione di queste tracce molto malinconiche e lente. Comunque sia, quando sono carica di energie che possono essere positive o negative, mi viene proprio voglia di buttare giù un pezzo attraverso il quale trasmettere le mie emozioni, come farebbe un pittore con un quadro. Non essendo una musicista (!) però non ho quella destrezza che possono avere un chitarrista o un batterista professionisti. Comunque prima di fare questo album ho composto altri due dischi di musica ambient, noise e drone cupo, tra violenza e quiete. Nel caso di “Faded Heart” però l’album riflette maggiormente me stessa. E’ davvero l’espressione di quella che sono io.
Hai detto che non ti senti una musicista. Cosa definisce dunque un/una musicista?
Non so bene come dare una risposta a questa domanda”…uhm”…
Forse la preparazione accademica?
Non credo”…per quanto mi riguarda io non so leggere benissimo lo spartito, conosco le note ma non gli accordi, non ho una grande conoscenza della chitarra, anche se nel disco l’ho strimpellata un po’, e ho anche creato i pattern di batteria. Comunque è molto importante la voglia di esprimersi. Però poi bisogna anche che si crei la possibilità per riuscire ad esprimersi. La tecnicità di un musicista sicuramente è molto importante perchè dopo un po’ penso che la creatività possa anche esaurirsi e con i mezzi (magari limitati) che hai può succedere che non riesci più a esprimerti come vorresti. è fondamentale dunque essere anche un tecnico.
Non per sminuire le tue canzoni, però a me sono piaciute in particolar modo le due strumentali del disco. Sono brani a cui tu non sei riuscita a incollare sopra un testo oppure sono nate come strumentali?
Il pezzo del primo lato, “Objects In The Mirror Are Closer Than They Appear” è stato il primo pezzo che ho registrato per il disco. E’ il brano che rappresenta il passaggio tra quello che facevo prima a quello che ho iniziato a fare dopo e faccio anche adesso. Mentre l’altra strumentale (“She Was Elsewhere”) è l’ultimo brano che ho registrato. E’ molto diverso dagli altri brani del disco e rispecchia un gusto musicale vicino alla musica cosmica tedesca. Magari in futuro registrerò tutto un disco più vicino a quelle sonorità .
Quali sono i tuoi rapporti con la scena romana (sia artistici che magari personali)?
Sì, ho rapporti di amicizia e mi capita di fare qualche collaborazione”…penso alla combriccola della Borgata Boredom del Pigneto. Collaborazioni serie con esponenti della scena romana però non ne ho ancora avute, non so se il motivo sta nel fatto che mi piace registrare le mie cose da sola o è perchè non sono riuscita in realtà a trovare niente di interessante. Io comunque ho un progetto parallelo a Mushy: suono in una band new wave/post-punk tutta al femminile, in cui io mi occupo di tastiere e synth. E’ un approccio completamente diverso da quello mio solito però è una scommessa”…in questo modo mi metto alla prova come componente di un gruppo.
I tuoi rapporti con la scena internazionale, invece”…?
Per quanto riguarda la scena estera la situazione è diversa. Ho ricevuto molte richieste di collaborazione. La prima fra tutte è stata quella proposta dal francesce Thierry Muller, mente del progetto ottantiano Ruth, e anche di Ilitch, un progetto più sperimentale. Il contatto è avvenuto tramite Myspace. Thierry ha ascoltato le mie tracce, gli sono piaciute e mi ha chiesto di provare a registrare un disco insieme. E’ venuto a Roma e abbiamo registrato questo disco nell’inverno dello scorso anno, nello studio Audio Division di Luciano Lamanna. Quindi si è occupato della post-produzione delle dieci tracce che sono uscite fuori dalle session e ci siamo di nuovo incontrati per completarle. Dunque penso che prossimamente dovrebbe uscire questo album. Un’altra collaborazione è stata quella con uno dei capostipiti della scena Witch House cioè Mother Suspiria Vision. In questo caso lui ha sentito dei miei pezzi su facebook e mi ha chiesto delle parti vocali per alcune sue tracce. In seguito ho avuto altre richieste da parte di artisti che volevano la mia voce per i loro brani”…in certi casi ho accettato, in altri non mi sentivo a mio agio.
Come fai a conciliare la vita di Valentina (il vero nome della cantante, nda) con quella di Mushy?
Con l’uscita del disco, e per il fatto che tra l’altro sta andando molto bene e sto ricevendo molti feedback positivi, il 60% della mia vita in questo momento verte sulla musica. L’altro 40% è occupato dai miei studi universitari (sto scrivendo la testi per laurearmi in Architettura). Parallelamente a queste attività mi occupo della grafiche di Mannequin ma non lo faccio tutti i giorni, anche se, quando c’è una release in uscita e devo consegnare un artwork, mi chiudo. Quindi diciamo che la mia vita è ancora una vita da studente, da senza lavoro che ha abbastanza tempo per occuparsi di altre cose, come meglio crede.
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