Osannati dai fan. Dileggiati dalla critica. Autori di alcune tra le pagine più belle della storia del pop degli anni ’80. Ridicolizzati e umiliati nella lunga fase di declino, quando i più cattivi iniziarono a considerarli uno sbiadito fenomeno commerciale che, anche nel periodo d’oro, si reggeva solo ed esclusivamente sulle apparenze: le acconciature e i vestiti all’ultima moda; le frequentissime scene di isteria con migliaia di ragazzine innamorate a far da protagoniste; le attenzioni decisamente morbose da parte dei tabloid; i videoclip super-costosi e visivamente potentissimi ““ fondamentali per la crescita della prima MTV.

In quattro decenni tondi tondi di carriera i Duran Duran hanno conosciuto glorie e mortificazioni, passando dai milioni e milioni di copie vendute con “Rio” (1982) ai numeri da incubo per “Medazzaland” (1997), mai pubblicato in via ufficiale in Europa. Le mille sfide incontrate nel corso di quasi mezzo secolo di vita non hanno però mai demoralizzato Simon Le Bon e soci che, a differenza di tanti loro contemporanei ben più celebrati, hanno sempre cercato di reinventarsi artisticamente, senza quindi cedere ““ o meglio, quasi mai cedere ““ alle sirene del nostalgismo.

Le dodici tracce di “Future Past”, il quindicesimo album realizzato dalla band britannica, sono il frutto del lavoro di quattro sessantenni che continuano a produrre musica pop mettendoci la passione, il coraggio e la curiosità  che di norma siamo abituati a cogliere nelle migliori uscite firmate da giovani esordienti di talento. Un disco sorprendentemente bello e intenso che deve molto anche all’umiltà  dei Duran Duran che, come già  accaduto in passato, hanno deciso di circondarsi di una folta schiera di collaboratori per rivitalizzare e rinnovare un sound che non è mai stato così tanto maturo, elettronico e lontano dai dettami del mainstream.

Iniziamo col presentare i tre produttori principali di “Future Past”. I nomi sono pesantissimi: Erol Alkan, DJ londinese che ha realizzato remix per Daft Punk, The Chemical Brothers e Interpol; Mark Ronson, già  al fianco del quartetto per l’eccellente “All You Need Is Now” del 2011; Giorgio Moroder, il gigante altoatesino della dance e dell’euro disco. Sono loro a segnare la via percorsa dai “nuovi” Duran Duran che, potendo contare sul preziosissimo contributo (fondamentale anche dal punto di vista compositivo) del chitarrista dei Blur Graham Coxon, sfidano i propri limiti e ci stupiscono, regalandoci una collezione di brani suggestivi e stilisticamente eterogenei.

Ad aprire le danze è “Invisible”, uno dei singoli più atipici ed emozionanti nella lunga storia degli ex Fab Five: una canzone gelida e malinconica sul concetto di solitudine ““ una vera e propria piaga in un mondo sempre più cinico e indifferente. La sezione ritmica, assai scarna ma efficace, è interamente sorretta dal granitico basso ultra-effettato di John Taylor, che dona al pezzo delle belle sfumature di funk “alieno”

Gli episodi più pop di “Future Past”, per quanto di chiara matrice duraniana, sono avvolti in un alone sintetico che mette ben in evidenza le nobili influenze del David Bowie berlinese, degli Chic e dei Kraftwerk, rimescolate e semplificate nei ritornelli e negli hook che rendono semplicemente irresistibili “All Of You”, “Anniversary”, “Tonight United”, la frizzantissima “More Joy!” (con le Chai ai cori), la super-moroderiana “Beautiful Lies” e la stuzzicante “Hammerhead”, che include un non fondamentale ma gradevole intermezzo dal sapore hip hop a cura della giovanissima Ivorian Doll.

Il grande risalto dato alle tastiere di Nick Rhodes e alla batteria elettronica di Roger Taylor non è casuale: “Future Past” è un album che va a rinverdire in maniera importante l’anima danzereccia dei Duran Duran. Ma sono le numerose ballad e semi-ballad a lasciare letteralmente a bocca aperta l’ascoltatore: non tanto le pur validissime “Give It All Up”, “Wing” e “Nothing Less”, quanto la celestiale title track (strepitoso l’assolo di Coxon) e la delicatissima “Falling”, impreziosita dal pianoforte di Mike Garson.

Queste ultime due tracce risplendono di una luce tutta particolare non solo perchè scritte e arrangiate col gusto dei grandi songwriter, ma anche per le interpretazioni da pelle d’oca di un Simon Le Bon ancora abilissimo nel suo mestiere. Se per qualche strano motivo continuate ad avere dei pregiudizi sui Duran Duran, dimenticateveli: “Future Past” è uno dei migliori dischi pop del 2021.