Andy Bell chiude il cerchio. Lo dice lui stesso riferendosi a un disco in cui va a riprendere canzoni passate mai finite o rimaste nel cassetto (cambiando però i testi, aggiornandoli all’oggi). La cover stessa del disco è uno scatto ripreso addirittura per l’esordio dei Ride, come a dire che alla fine tutto torna e ora, complice la pandemia, lo stop e l’isolamento, c’è stata la forza e la volontà per guardarsi indietro e fare i conti con il passato.
Il musicista/artista Andy Bell non si discute, forse questo disco è servito anche all’uomo per fare pace con qualche voce interna, per trovare serenità e sistemare tutti i pezzi necessari per compleare una specie di Tetris, non solo musicale, ripetiamo, ma anche personale: guardare nei cassetti senza esserne spaventato, niente scheletri in quell’armadio, ma anzi, idee da riprendere e plasmare senza che fantasmi spiacevoli vengano a disturbare la quiete.
18 brani, un doppio album, che, come si vede su Bandcamp aveva inizato a prendere forma nel lontano 2016, con la collaborazione del buon Gem Archer, ma solo ora ha trovato la sua trama finale. Andy lavora molto bene di sottrazione, andando a pescare in quello che sembra ormai essere il suo retaggio principale e preferito in veste solista, ovvero una popedelia suggestiva con l’occhio agli anni ’60, ma quello che piace è proprio la forma asciutta e volutamente scarna dei brani, come se l’artista avesse voluto dare solo qualche aggiustamento a forme che sembravano comunque piuttosto delineate (lasciandole tali), piuttosto che creare abiti sontuosi e magniloquenti per vestire idee passate.
Le carte in tavola sono variegate, ma non è una partita confusa o disordinata, tutt’altro, si vede che comunque che quello è un mazzo che Andy ha sempre avuto in mano e, da abile giocatore, sa usare alla perfezione. La varietà è figlia proprio di quello sguardo sereno al passato: occhi che scrutano indietro per gestire meglio il presente e, perchè no, indirizzare il futuro. Paradossalmente, pur andando a riprendere cose vecchie, rispetto al primo album che sembrava fin troppo scolastico, qui il chitarrista dei Ride sembra più libero e invogliato a sperimentare la sua curiosità , sia che si tratti di trovate alla Stone Roses con sound effettato (“The Sky Without You”), sia che strizzi l’occhiolino al jangle riverberato (“World Of Echo”), sia che si avventuri in un mondo etereo e impalpabile (“The Loking Glass”). Non mancano le chitarre acustiche e pregevoli linee vocali, perchè Andy le melodie le ha sempre sapute scrivere e bene, ma c’è anche il groove psichedelico (“Sidewinder”) e le chitarre acide di “No Getting Out Alive” che ci trascina in un vortice ipnotico davvero ben costruito.
Piatto forte del menù resta “Something Like Love” che la mente, inevitabilmente, associa subito a “Vapour Trail” dei Ride, per prendere poi una piega ancora più onirica e toccante: a tutt’oggi una delle canzoni più belle di questo 2022 e fiore all’occhiello di un disco riuscito e convincente. Bravo Andy!
Credit Foto: Andree Martis