Tutti hanno sentito parlare del rock progressivo, genere che negli anni ’70 provenne dall’Inghilterra e dominò le classifiche con band come i Pink Floyd, gli Emerson, Lake & Palmer, gli Yes. Ma è uno stile, o piuttosto un’attitudine, come diceva Robert Fripp dei King Crimson, il leader della band che, di fatto, fondò il genere nel 1969? In otto puntate, proviamo a fare una storia di come questa volontà di fare musica rock “che duri nel tempo” e “progressiva” ““ nel senso di una volontà di non sedersi mai sugli allori del successo e continuare a sperimentare, sia proseguita ben aldilà del periodo d’oro del Prog degli anni ’70. Fino ai giorni nostri, arrivando al “Brixton Sound” e passando dall’Art-rock, il Post-punk, il Post-rock, il Progressive-metal.
3. Gli anni ’70 del Prog inglese: non solo mainstream.
A parte i nomi che scalarono le classifiche, negli anni ’70 furono attivi altri gruppi prog che a distanza di anni, la critica ha riconosciuto per il loro valore e la loro influenza musicale nel tempo: tra di loro i King Crimson innanzitutto, i Genesis del periodo di Peter Gabriel, i Gentle Giant, i Van Der Graaf Generator, nonchè la “Scuola di Canterbury”.
Oltre ai 4-5 artisti che affollavano le Top Ten delle due sponde dell’Atlantico (vedi la seconda puntata), il Prog britannico produsse nella sua epoca d’oro diversi altri gruppi artisticamente importanti. I King Crimson, nei 5 anni successivi al “’69 sono passati attraverso continui cambi di formazione e altri 6 dischi in studio, nei quali non hanno mancato di esplorare tutto quel che si poteva esplorare musicalmente all’epoca e i capolavori continuarono a fioccare. Anche se solo i primi 2 album entrarono nella Top Ten del Regno Unito, oggi la maggior parte dei critici e dei fan del Prog attribuiscono a questa band una importanza pari solo a quella dei Pink Floyd. Basta andare a vedere le recenti classifiche dei “migliori dischi prog” nelle riviste specializzate e vediamo i Crimson spesso presenti nelle prime 20 posizioni con 2-3 dischi e “In the Court of the Crimson King” (ITCOCK) che si contende in genere il numero 1 con “The Dark Side of the Moon” o “Close to the Edge”
“La musica e’ sempre nuova”. Questo uno dei principi ispiratori dei King Crimson, formulati più tardi dal chitarrista Robert Fripp, unico membro sempre presente in 50 anni di storia della band. Effettivamente, ciò che caratterizza i Crimson e’ la mancanza di ripetizione. I loro dischi, con poche eccezioni, sono sempre diversi l’uno dal seguente. Quando avvertiva la ripetizione arrivare, Fripp scioglieva il gruppo, facendo arrabbiare i suoi compagni di avventura, lo riformava da capo o si prendeva un po’ di pausa. Oggi, Yes e Jethro Tull sono ancora attivi e pubblicano dischi e portano in giro, nei loro live, una musica per fan à¢gèe, in cui ripetono a menadito i loro pezzi più famosi degli anni “’70, mantenendosi grazie alla ripetizione di un successo vecchio di 50 anni. I Crimson, fino al 2021, hanno girato il mondo con una band inedita a 3 batteristi che ha riarrangiato fortemente il loro materiale vecchio, oltre a proporne di nuovo. Se reinventarsi continuamente e spingere il limite creativo sempre oltre e’ una caratteristica del Prog, i Crimson sono la realtà più Prog che ci sia mai stata. Bill Bruford, quando spiega i motivi che lo determinarono a lasciare nel 1972 gli Yes, per il re cremisi che vendeva molti meno dischi, disse che, con il successo, avvertiva il rischio della ripetizione e che gli venisse chiesto di suonare tutte le sere la stessa cosa nello stesso modo.
Se compariamo i dischi dei Crimson del periodo d’oro del Prog, con quelli degli Yes o degli altri gruppi di maggior successo, notiamo una serie di differenze fondamentali. Ad es., invece che concentrarsi sulla fase di produzione “post-musicale”, i Crimson esaltavano l’unicità del momento musicale e creativo, tanto e’ vero che oltre la metà del loro album “in studio” del 1973, “Starless and Bible Black” era in realtà registrato dal vivo. Come racconta Bruford, gli Yes, dopo avere registrato gli strumenti, passavano ore in studio ad eliminare e rettificare “gli errori”, mentre invece, “bisognerebbe lasciarli ovunque”. Un approccio al Prog da jazzista. Non a caso, la formazione musicale dei membri delle altre band passava più per la musica classica che per il jazz. Bruford ebbe a dire più tardi, con qualche polemica e esagerazione, che Steve Howe (il chitarrista degli Yes) e’ stato l’unico a portare un po’ di jazz nel Prog. A differenza dei Beatles, i Crimson non soffrivano il momento “live”. Al contrario, per loro suonare dal vivo era e resta tutt’oggi, parte del processo creativo. Suonando la stessa traccia tutte le sere come se fosse musica nuova, i Crimson evitano di ripetersi ed entrano in una terra di mezzo, tra “l’improvvisazione del jazz, la precisione della classica e la potenza del rock” (parafrasando la locandina che annunciava un loro recente tour). Robert Fripp ha paragonato la differenza tra musica live e musica in studio, alla differenza che c’è “between a hot date and a love letter” (tra un appuntamento erotico e una lettera d’amore), tra i musicisti e il pubblico. La seconda non dà certo la stessa soddisfazione.
Rimanendo agli anni ’70 del Prog, non si possono non citare i Genesis. L’enorme successo commerciale della band che la porto’ a scalare le classifiche di mezzo mondo, cominciò solo con “And then There were Three”….”, nel 1978, quando rimasero appunto in 3 e a quel punto non si può più parlare di Prog, ma di un altro genere di musica. Prima di allora, tra il 1969 e il 1976, nel periodo “Prog”, i Genesis, produssero un Prog innovativo e musicalmente ambizioso. Folgorati da “ITCOCK”, abbracciarono con decisione il nuovo genere con il loro secondo album “Trespass” (1970); durante le registrazioni del disco tenevano appeso un poster del capolavoro dei King Crimson in studio. Il tastierista Tony Banks, con la sua educazione musicale classica, da ai Genesis una forte impronta in fase compositiva. Banks non e’ un virtuoso alla Keith Emerson o Rick Wakeman che si lancia in assoli spericolati. Ma la sua capacita’ di dominare le tastiere e creare un suono pienamente orchestrale e’ ugualmente mirabile. Il cantante Peter Gabriel cura testi, “concept” e travestimenti di scena, creando uno specifico immaginario del gruppo. Mike Rutherford era un bassista molto melodico alla Paul Mc Cartney (con il quale aveva in comune il basso Rickenbacker) e con un talento anche nella composizione di canzoni e chorus accattivanti. Dopo le prime due prove discografiche, entrano nel gruppo un chitarrista come Steve Hackett, tecnicamente molto preparato con basi classiche analoghe a quelle di Banks e un batterista come Phil Collins, oggi considerato tra i migliori della storia del rock. La magia fu così completata e questa formazione classica produsse 4 album, tra il 1971 e il 1974, peraltro molto apprezzati in Italia. Malgrado la barriera linguistica, il nostro pubblico fu stregato dall’immaginario ideato da Peter Gabriel. Già “Foxtrot” del 1972, da noi (e in Francia) giunse al numero 1, regalando alla band soddisfazioni che tardavano ad arrivare nel mercato anglosassone. Quelle arriveranno con “Selling England by the Pound” (1973), un album che ricevette le lodi di John Lennon e che, finalmente, permise alla band di entrare nella Top Ten britannica e al numero 70 in U.S.A. “Selling England”, malgrado qualche alto e basso qualitativo al suo interno, viene considerato oggi la loro opera migliore. Basti pensare a “Firth of Fifth”: l’introduzione di piano, il flauto di Gabriel, l’assolo di chitarra, i sintetizzatori nella parte centrale, i contrappunti della batteria, l’incedere del basso, tutti brividi lungo la spina dorsale che contribuiscono a quasi 10 minuti in cui l’ascoltatore non può distrarsi nemmeno volendo.
Il successivo “The Lamb Lies Down on Broadway” (1974) e’ un doppio album dominato dal concept pensato da Gabriel per l’occasione. Un’opera molto ambiziosa, su cui la critica e i fan si dividono in due campi. Un destino simile a “Tales from Topographic Oceans (1973)” degli Yes, l’album doppio che faceva seguito a “Close to the Edge”, dominato dall’ambizioso concept elaborato da Jon Anderson. Ma nel caso dei Genesis, lo sforzo sembro’ consumare Peter Gabriel che decise di uscire dal gruppo e raccogliere le idee per un periodo.
I Gentle Giant furono invece un gruppo che univa schemi compositivi estremamente complessi mutuati dalla musica classica contemporanea (come la polifonia e il contrappunto) a spunti di derivazione folk. I membri possedevano forti conoscenze tecniche e, spesso polistrumentali, che pero’ rimanevano disciplinate all’interno delle composizioni, senza lasciare spazio eccessivo agli assoli individuali, come avveniva con Yes o ELP. Erano comunque talmente capaci dal creare imbarazzo alle più affermate band che le usavano come spalla nei loro tour: i Jethro Tull ne sanno qualcosa. Nel 2015, il remix di Steven Wilson di “Octopus” (album del 1972 la cui copertina fu disegnata da Roger Dean, lo stesso degli Yes) entra nelle classifiche britanniche al 34mo posto, la posizione più alta mai raggiunta dal gruppo.
Un altro gruppo che rimase lontano dalla Top Ten dei grandi mercati ma che oggi gode di grande considerazione, sono i Van Der Graaf Generator (VDGG). Una band che presenta uno stile più simile ai Crimson, in termini di eclettismo e voglia di andare oltre ogni definizione di genere. Robert Fripp venne ospitato due volte nei loro dischi, non avendo peraltro la band un chitarrista a tempo pieno. Anche nei testi, si allontanano dall’immaginario simbolico e astratto di Genesis o Yes, per andare verso territori più oscuri e talora fantascientifici, seguendo la lezione di “ITCOCK”. I VDGG, nel 1971, raggiunsero il numero 1 in Italia con “Pawn Hearts”. Il loro tour dell’epoca nel nostro Paese registrò accoglienze trionfali e la necessità d’interventi delle forze dell’ordine per contenere l’entusiasmo dei fan.
Una puntata completamente a parte meriterebbe la c.d. “Scuola di Canterbury”, un movimento attivo in quegli anni nel quale vengono iscritte band come i Soft Machine, i Caravan, Gong, Camel, National Health. Con il termine, più che identificare uno stile preciso, si cerca di delineare un insieme di band che, in realtà , solo in parte gravitava geograficamente attorno alla città di Canterbury (i Camel per esempio venivano dal Surrey). Tra di loro avevano in comune molti membri che passavano dall’una all’altra (è il caso del tastierista Dave Sinclair), l’amore per la psichedelia, per l’improvvisazione, per il jazz e per un immaginario sconclusionato che evidenziava una certa voglia di non prendersi sul serio e di rifiutare la realtà . Esemplare in tal senso la trilogia di dischi dei Gong, “Radio Gnome Invisibile” (1973-1974), un concept in tre atti che sviluppa una mitologia psichedelica e fantascientifica, piena di humor ricercato. In parte un fenomeno isolato che non conobbe mai veramente le classifiche, la “Scuola di Canterbury” ha lasciato però una traccia precisa nella storia della musica rock e progressiva e ha il suo fedele circolo di appassionati, nonchè tutt’oggi una continuazione nei Syd Arthur, band in attività e originaria proprio della cittadina britannica.