Cari nostalgici dell’alternative rock anni ’90, finalmente avete un grande motivo per gioire. Dopo esser rimasti silenziosi per ben un decennio, infatti, sono appena tornati con un album nuovo di zecca gli immarcescibili Urge Overkill. Il settimo disco realizzato dalla band, fondata da Nash Kato ed Eddie “King” Roeser nell’ormai lontano 1986 e assurta allo status di leggenda grazie a una straordinaria cover (“Girl, You’ll Be A Woman Soon” di Neil Diamond) inserita nella colonna sonora di “Pulp Fiction”, si intitola “Oui” e ha tutte le carte in regola per soddisfare i palati fini degli amanti delle belle sonorità di una volta. Quelle a metà strada tra grunge e power pop, condite da una spolverata abbondante di hard rock e, in maniera assai più leggera ma percettibile, da qualche citazione colta (The Replacements, Dinosaur Jr, Hà¼sker D༓…).
Soddisfare e poco più perchè, spiace dirlo, gli Urge Overkill di “Oui” non graffiano più come ai tempi in cui a produrli erano personaggi del calibro di Butch Vig e Steve Albini. Per cui nessuno si faccia troppe aspettative: non stiamo parlando di un “Saturation” versione 2. Poca rabbia, tanto mestiere ma il cuore, fortunatamente, c’è ancora. La premiata ditta Kato / Roeser conosce da sempre a menadito i segreti del pop e, anche in quest’occasione, ce ne dà ampia dimostrazione con una serie di brani in cui il fattore orecchiabilità non è mai secondario.
Sì, le chitarre sono il fulcro imprescindibile attorno al quale ruota l’alternative rock d’antan degli Urge Overkill (particolarmente ruggenti quelle di “A Necessary Evil”, “Follow My Shadow” e “Won’t Let Go”), ma è alla melodia che va il compito di far spiccare il volo ad alcuni tra i brani migliori del disco (“How Sweet The Light”, “I Been Ready”, “Totem Pole” e “I Can’t Stay Glad@u”).
Tanto basta per portare a casa un risultato che, considerando la lunghissima sosta creativa, non era per nulla scontato. Un album assolutamente gradevole, nonostante il rifacimento non riuscitissimo di “Freedom!” degli Wham! (peccato, perchè è un grandissimo pezzo che meriterebbe una bella rilettura in chiave rock) e lo scorrettissimo italiano sfoggiato in un paio di versi di “A Prisoner’s Dilemma”, una canzone sul tema della cronaca nera nostrana, tutta incentrata sul ruolo di Amanda Knox nelle indagini per l’omicidio di Meredith Kercher. Non siamo certamente dei grammar nazi, ma orrori come Buona notte, que cosi fe? o Prego, mia poca volpe sono da matita blu!
Credit Foto: Jerod Herzog