Un viaggio senza freni nella sfera creativa del subconscio. Queste le parole utilizzate da Kelly Lee Owens per descrivere le nove tracce di “LP”‹.”‹8”, un album nato quasi spontaneamente nel corso di una serie di sessions svoltesi in piena pandemia a Oslo. A dare una mano in studio è stato Lasse Marhaug, esperto artista della vivace scena noise/sperimentale norvegese che può vantare collaborazioni di prestigio con alcuni celebri pionieri del “rumore” moderno (Merzbow, Sunn O))) e Jim O’Rourke tra i tanti).
Lontani dai tremendi pericoli dei mesi più intensi e faticosi dell’emergenza sanitaria globale, i due hanno provato a costruirsi un rifugio musicale fatto di pura atmosfera, in cui ogni singolo suono conta; anche il più piccolo, il più impercettibile ““ quello nascosto al di sotto di una miriade di effetti di natura ultraterrena.
Il consiglio principale, quindi, è quello di ascoltare “LP.8” con un bel paio di cuffie: questo è un disco dannatamente complesso che richiede pazienza e attenzione per essere realmente assorbito. Un lavoro minimalista, criptico e oscuro, nel quale immergersi in maniera totale senza la pretesa di trovare certezze ““ o, per meglio dire, brani strutturati in maniera tradizionale.
Non lasciatevi quindi tradire dalla soffice “One”, dominata dalla voce dolce e quasi angelica di Owens: l’unica canzone più o meno normale di “LP.8” si trova schiacciata in scaletta tra collage sonori più che ansiogeni (“Release”), lunghissimi strumentali che sembrano dilatarsi all’infinito su tappeti di synth e ritmi sparsi ma ossessivi (“Anadlu”) e timide parentesi pianistiche che sanno tanto di field recording (“Nana”).
L’artista gallese non si pone freni e dà vita a un album tanto spinoso quanto affascinante; un’esperienza estremamente stimolante anche per l’ascoltatore, soprattutto per quello alla ricerca del sottofondo ideale per scrivere o leggere.
Per una Kelly Lee Owens fuggita dall’incubo pandemico londinese, la musica elettronica alla base di “LP.8” è una vera e propria valvola di sfogo: uno strumento con cui dare una forma poco definita (ma ricca di idee) a mille paure e angosce. Un quadro avanguardistico dalle tinte ambient, noise, drone e concrete in cui ““ cito più o meno testualmente la stessa Owens ““ i suoni industriali dei Throbbing Gristle si fondono con il misticismo etereo e dai toni celtici di Enya. Tensioni sovrumane e spicchi di pace e rilassatezza in un disco bello ma difficilmente descrivibile. Il mio consiglio? Ascoltatelo e giudicate voi stessi – evitate di metterlo su mentre siete in macchina o durante una festa, però.