“Copper Blue” non fu un semplice album per Bob Mould, ma un’occasione di riscatto dopo anni di cocenti (e immeritati) insuccessi potenzialmente fatali per la sua carriera. Un irripetibile colpo di fortuna al termine di un lustro amaro, iniziato con lo scioglimento per nulla pacifico degli Hà¼sker D༠nel gennaio 1988 e proseguito con due lavori solisti (il folkeggiante “Workbook” del 1989 e il suo ben più ruvido seguito “Black Sheets Of Rain”, datato 1990) di indubbia qualità  ma incapaci di raccogliere le attenzioni del grande pubblico, nonostante il supporto più o meno convinto di una major come la Virgin. Un’etichetta importante ma poco rispettosa delle esigenze economiche e creative di Mould che difatti, nella primavera del 1991, decise di stracciare anzitempo il contratto che lo legava alla label di Richard Branson per lanciarsi alla ricerca di opportunità  più vantaggiose e stimolanti.

Per tirarsi fuori da un’impasse che lo stava facendo rapidamente scivolare nell’oblio, il cantante e chitarrista statunitense seguì un ricco percorso di scoperta del nuovo e riscoperta dell’antico. Partì col togliere la polvere dalla sua vecchia collezione di dischi dei Beatles e dei Ramones, nella speranza di ritrovare l’ispirazione necessaria a risvegliare la sua anima pop. Si avvicinò poi a cose più moderne (all’epoca modernissime, poichè fresche di stampa), innamorandosi dello shoegaze dei My Bloody Valentine di “Loveless” e del grunge dei Nirvana di “Nevermind”. Infine si riappacificò una volta per tutte col suo glorioso passato, dando forma al seguito ideale di una pietra miliare dell’alternative rock quale “Warehouse: Songs And Stories”.

Una volta trovati un bassista (David Barbe), un batterista (Malcolm Travis) e una casa discografica pronta a sostenere con forza il progetto (la Creation di Alan McGee, impressionante fucina di talenti), Bob Mould abbandonò la dimensione solista per lanciare una nuova creatura chiamata Sugar ““ un trio, proprio come gli Hà¼sker D༠““ e un album d’esordio contenente dieci tracce.

“Copper Blue”, per l’appunto. Un piccolo miracolo commerciale e non solo, capace di conquistare i cuori dei critici (una rivista prestigiosa come NME lo premiò come disco dell’anno), intercettare i gusti del pubblico e scalare le classifiche (arrivò fino al decimo posto nelle charts britanniche).

Risultati di non poco conto per un lavoro che oggi probabilmente ricordano solo i più voraci e instancabili appassionati di un certo tipo ben specifico di rock anni ’90. Un universo vasto e indefinito che, nelle sue manifestazioni migliori, non fu un semplice genere musicale ma un calderone di sonorità  differenti e spesso contrastanti. Un frullatore di energia e melodia nel quale ogni minimo passaggio, anche il più impercettibile, è fonte di emozioni per l’ascoltatore.

E le dieci canzoni di “Copper Blue” sono proprio tutte incentrate sulle emozioni del loro autore, che canta ogni singolo verso col cuore in gola. Peccato per la scelta alquanto infelice, presa in fase di missaggio, di seppellire la voce sotto gli strumenti; una minuscola pecca che però toglie meno di zero alla produzione scintillante e per nulla invecchiata di Lou Giordano, personaggio importante nell’universo mouldiano al quale va dato il merito di aver portato in dote agli Sugar quella “botta” che era quasi totalmente assente nelle registrazioni più ruspanti degli Hà¼sker Dà¼.

Volete un esempio della “botta” a cui mi riferisco? Eccolo qua: lo spaventoso riff di chitarra in palm mute che apre “The Act We Act”, un brano che tratta di temi tristi – una relazione finita malamente ““ ma lo nasconde davvero molto bene, con un ritornello estremamente gioioso e vivace. Ancora più cupo è l’argomento alla base di “A Good Idea”, un altro pezzo che ci trae in inganno con il suo bel piglio allegrotto alla Pixies in versione felice.

Dietro un giro di basso elementare ma comunque sfacciatamente rubato alla Kim Deal di “Debaser”, infatti, si nasconde la cronaca di un femminicidio: una donna viene affogata nelle acque di un fiume dal suo compagno. Lei, tuttavia, non sembra ribellarsi alla violenza dell’uomo; anzi, la considera una buona idea (That’s a good idea she said/I wanna feel you in the water/With your hands on my head). Una bizzarra atrocità  che ben descrive il mood assurdo e inquietante di un disco in cui il sogno si fa incubo e l’incubo si fa sogno.

Bob Mould, un uomo sostanzialmente depresso, esprime il suo dolore in mille modi diversi. Vuole un cambiamento profondo nella sua vita (“Changes”) ma si sente tremendamente solo, abbandonato (quante volte ripete I’m left behind in “The Slim”?) e senza aiuti (“Helpless”). In “Hoover Dam”, uno splendido esempio di pop rock acustico e barocco (con tanto di tastiere dal gusto leggermente prog), l’ex Hà¼sker D༠osa persino giocare col pensiero del suicidio; ma poi, quasi in extremis, decide di salvarsi stringendo un patto col diavolo perchè, in fin dei conti, è coperto di lava ma si sente bene così (Covered up with lava and I feel fine/It washes over me/Keeps me feeling warm at night).

La sofferenza straziante che attanaglia l’animo cinico di Mould si scontra con il conforto che è capace di darci il sound degli Sugar. Un dato di fatto che emerge con particolare evidenza in “If I Can’t Change Your Mind”, una spensierata e frizzantissima canzone di power pop acustico che non sfigurerebbe come sottofondo di una puntata di Friends o di qualsiasi altra sitcom anni ’90.

Il tiro aggressivo che contraddistingue la tesissima “Fortune Teller” si scioglie come neve al sole tra le atmosfere psichedeliche della stralunata “Slick”, un brano di grunge allucinatorio che Bob Mould canta come fosse sbronzo. Lo stato di alterazione degli Sugar si riflette anche nella conclusiva “Man On The Moon”, un’altra traccia dalle chiare sfumature lisergiche, addolcita però da quegli elementi squisitamente pop che sono un po’ il trait d’union dell’intero “Copper Blue”

Un capolavoro criptico e criminalmente dimenticato, tanto oscuro nei contenuti quanto luminoso dal punto di vista prettamente musicale, che stranamente si chiude con dei bei versi di speranza rivolti a noi poveri ascoltatori, che ce ne stiamo qui soli soletti sul pianeta Terra a cercare di catturare lo sguardo dell’uomo sulla Luna, “unica luce in una notte di disperazione”: If you look to the sky/Look him straight in the eye/And as strange as it seems/If you wish all your dreams/Will come true after all.

Data di pubblicazione: 4 settembre 1992
Tracce: 10
Lunghezza: 44:58
Etichetta: Creation
Produttori: Bob Mould, Lou Giordano

Tracklist:
1. The Act We Act
2. A Good Idea
3. Changes
4. Helpless
5. Hoover Dam
6. The Slim
7. If I Can’t Change Your Mind
8. Fortune Teller
9. Slick
10. Man On The Moon