Nuovo cambio di rotta per i favolosi For Tracy Hyde. Nel precedente lavoro i ragazzi si erano addentrati in territori decisamente indie-americani anni ’90, lasciandosi influenzare anche dal grunge e con chitarre mai così rabbiose, ma nel nuovo “Hotel Insomnia” si spostano sulla sponda britannica, sempre anni ’90, avvalendosi del supporto di Mark Gardener dei Ride, che qui si occupa del mastering dell’intero album. E uno come lui di anni ’90 shoegaze se ne intende, eccome.
Shoegaze che abbraccia il dream-pop: chitarre piene e mid-tempo belli rumososi, che trovano spesso quei ganci melodici agrodolci che sono tipicamente caratteristici della scena del Sol Levante. La band sembra perdere un po’ il suo lato sbarazzino, quello che strizzava l’occhio al J-pop (anche se un brano come “House Of Mirrors” sembra proprio andare in quella direzione e francamente, con quel mezzo rap finale, sembra andare un po’ fuori giri rispetto all’intero album) per abbracciare maggior profondità rumorosa, con chitarre davvero valorizzate (che botta shoegaze è ad esempio “Milkshake”) e brani che possono già diventare dei classici nel genere sia per la costruzione che la prodizione e il lavoro melodico (Mark Gardener sa valorizzare anche quello!), penso ad esempio all’apertura da manuale con “Undulate” (equilibrio perfetto tra le melodie della band e lo shoegaze anni ’90) a “Kodiak” (potente e fragorosa, con chitarre che più brit non si può, quasi alla Ride), la vaporosa e magicamente onirica “Estuary” (che nel ritornello diventa però fiume in piena) o “Leave The Planet” che unisce chitarre a ritmo ballabile, un po’ alla MBV di “Soon” o a certe sperimentazioni dei Chapterhouse. Piacevolissima anche “Natalie”, delicato sogno ad occhi aperti.
Tranquilli che comunque certi frangenti più “easy” non mancano. Pensiamo a “The First Time”, la freschissima “Friends” o “Subway Station Revelation” che è un gioiellino irresistibile di power-pop.
Tanto di cappello ai nostri FTH che anche in questa immersione ancora più totalizzante nello shoegaze dimostrano di saperci fare, senza perdere la bussola e senza venire meno a certi loro punti fermi (sopratutto nella capacità melodica). La voce di Eureka è valore aggiunto, reale linea melodica e non dispesa tra le chitarre come lo shoegaze insegna.
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