Una vertiginosa carrellata mostra transitorie porzioni di case riprese frontalmente, da un’angolazione leggermente laterale e dal basso. Successivamente due persone, all’interno di un’auto, vengono investite dalla luce rossa del semaforo. In seguito, l’arrivo ad una villa immersa nel bosco, screziato da altissimi alberi dominanti l’area visibile.
Bryan Bertino deve odiare i preamboli confusi, le introduzioni che alludono ad un argomento per poi virare improvvisamente altrove; al contrario, appare immediatamente sincero, disponibile da subito nel conciliare la curiosità dello spettatore: rivela il contenuto, i personaggi, il contesto. Il fatto poi che i due interpreti, per qualche minuto, giochino ai fidanzati tristi e un po’ arrabbiati, è un fuori tema sopportabile in confronto alle generose concessioni regalate dal regista. E infatti breve alla fine risulta l’attesa del primo evento inquietante: C’è Tamara? Ne sei sicuro”…?
Bryan Bertino deve amare molto l’inganno”… Intendo quel raggiro, vagamente sadico, di colui che è incline a lasciarsi sottovalutare al fine di suscitare, in un secondo tempo, impressione e sorpresa, riuscendovi, tra l’altro benissimo.
“The Strangers” ruota attorno ad una situazione semplice, persino banale, nell’infinita serie di varianti apparse sul grande schermo, ovvero, il motivo della casa posta sotto assedio da una presenza estranea, dalla quale i protagonisti tenteranno di difendersi, cercando di mantenere l’abitazione come luogo sicuro e familiare. I richiami si sprecano, ma sarà utile limitarci ai due esempi maggiormente vicini; partendo dal più recente, sono evidenti i riferimenti a “Vacancy” (2007), dal quale riprende il soggetto della coppia in disfacimento che, nel pericolo, ritrova nuova vitalità , e l’aspetto dello spazio protetto, inevitabilmente alterato dalla facile accessibilità del nemico. L’altro rimando è alla saga degli zombi di Romero, dove i personaggi provano disperatamente a barricarsi dentro un edificio (appartamento, locale, ecc.); anche in questo caso, però, la speranza si rivela illusoria. Elemento comune alle tre pellicole considerate è l’incapacità del protagonista (e di riflesso del pubblico) di possedere un chiaro quadro della circostanza. Se per i titoli chiamati a paragone del film di Bertino il mistero, almeno parzialmente, si risolve, “The Strangers” mantiene l’enigma insoluto.
Concedendo una breve pausa alla progettazione narrativa, si ponga l’attenzione sulla resa visiva dell’opera. Il regista predilige una ripresa insicura, vacillante; numerose sono le inquadrature dei primi piani, a indicare una particolare cura nel raffigurare volti ed espressioni.
Alcune scene (all’inizio le figure chiuse nell’auto, James all’aperto mentre parla con la ragazza bionda) sono investite di un ocra malato, di un tono carminio irrazionalmente rovente, di un rossastro malfermo e appestato, che per istinto conducono (doverose le giuste distanze) alle atmosfere cupe della notturna Los Angeles di “Collateral” (2004).
L’immagine emerge sporca, indefinita, ad alludere ai classici horror anni 70′, negli ultimi anni già felicemente riproposti nel dittico della famiglia Firefly da Rob Zombie, dal quale Bertino raccoglie l’uso fondamentale della maschera. Trucco artificiale, feticcio spaventoso, rappresenta per la quasi totalità del film, la faccia dei tre”… come definirli? Fantasmi? Assassini? Mostri? Fino all’ultima sequenza sono solo gli Sconosciuti”… e dopo? Continuano perversamente ad esserlo. Quando il travestimento viene calato non resta che il punto di domanda a soddisfare la cinica curiosità .
“The Strangers” non concede nulla al compiacimento per la violenza esposta; anche i momenti più crudi sono appena percepibili, più lesti di una lama conficcata. La soluzione (?) non è che il risveglio dall’incubo: improvviso, indefinitamente frustrante, opaco e caotico. La centralità su cui si erge la pellicola di Bryan Bertino risponde non al dolore e alla morte, ma alla sensazione terribilmente estenuante e angosciosa della Paura. L’attesa e l’inconsapevolezza generano emozioni di intollerabile affanno: Io morirò. Non potrò non morire di questa penosa follia, sibilava sconvolto Roderick Usher, nel racconto di Edgar Allan Poe, “Il crollo della casa Usher”, “… sento che non potrà non giungere l’istante in cui abbandonerò , insieme, vita e ragione, lottando con quell’orrido fantasma, la Paura. E quando si avvicina così sensibilmente quell’attimo: E furioso balzò in piedi, e urlò, sillabando le parole, come se nello sforzò stesse per rendere l’anima: – Pazzo, io ti dico che ora sta là , dietro quella porta!
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