Il fascino è nel riverbero del ricordo. L’eco di cose passate che viene dal tocco di un oggetto, scuote chi l’ascolta. Ed in quest’ultima fatica di Ben Shepard la mente viene pizzicata da più di una sensazione.
Gli Uzi & Ari costruiscono una scatola magica rubando alla nebbia il segreto meccanismo della rarefazione, restituendo canzoni elettro-acustiche avvitate attorno a melodie più o meno centrate. E’ la cura dei dettagli, il prezioso smussare gli angoli, l’aggiunta ad esempio di parti di tromba o fruscii di violini in lontananza a conferire un sapore speciale al fragile mondo suonato dai sei musicisti di Salt Lake City. Ballate nate tra i solchi dei dischi di Notwist e Postal Service, si trasformano in fragili cristalli d’armonia anche grazie alla maliconica voce tremante di Shepard, che se da una parte ricorda le instabilità emotive di Thom Yorke, dall’altra rifugge qualsiasi affondo tragico-claustrofobico, marchio di fabbrica del leader dei Radiohead.
“Headworms”, terzo lavoro in quattro anni, si trasforma lentamente nell’arredo mancante di un lento pomeriggio invernale, stretto in luci lattiginose alla ricerca vana di un mezzo raggio di sole, che stai certo, almeno per oggi, se ne rimarrà rintanato a più di seimila chilometri d’altezza. Così tutt’attorno si stende un velo opaco, un’indolenza che alterna slanci a torpori, concludendosi sempre in una carezza, in una folata di scirocco premuroso sulle guance. Tra una canzone e l’altra il disco fila via liscio, soffice e distaccato, eccellente musicoterapia d’accompagnamento durante la prossima pausa-tè. Niente di rivoluzionario, nulla che sposterà l’inclinazione dell’asse terrestre, ma solamente un album di buona fattura, un porto calmo dove affondare le proprie suggestioni, nell’attesa delle future, inevitabili tempeste. E di questi tempi non è cosa da poco.
MySpace
2. Wolf Eggs
3. Patron Saints
4. Headworms
5. Comforts
6. Magpie’s Monologue
7. Thumbsucker
8. Hold Your Horses
9. Ghosts On The Windowsill
10. Paper Cuts