Tornati discograficamente attivi a soli due anni da “Huffy”, che ne segnava una sorta di ripresa dell’attività dopo lo stop forzato a causa della pandemia, i We Are Scientists sembrano ormai essersi messi alle spalle quel periodo buio, con la macchina che ha ripreso il proprio cammino come ai tempi migliori.

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Come si poteva evincere dai singoli anticipatori “Operator Error” e “Less From You”, infatti, la band (da tempo ridotta al duo formato dai fondatori Keith Murray e Chris Cain) ha ritrovato davvero quella freschezza compositiva e quella genuina verve che ne connotò positivamente i primissimi lavori, pubblicati nella prima metà degli anni zero.

Certo, nel mezzo c’è stato di tutto, la musica ormai gira a velocità elevata e sono centinaia le band, specie nel novero del genere ascrivibile genericamente al post-punk (o indie-rock che dir si voglia), ad essere comparse nel frattempo, oscurando la stella dei due sodali che diedero vita alla loro avventura artistica a Claremont.

Ad essere cambiato radicalmente e inesorabilmente in fondo è stato il cosiddetto hype che per un po’ aveva baciato (anche) i Nostri, accendendo su di loro e su ciò che musicalmente interessante proponevano una giusta dose di curiosità e attenzione.

Hanno avuto inevitabilmente degli alti e bassi, per carità –  non ne voglio fare una questione meramente “giornalistica” di indirizzo della critica nei confronti dei gusti del pubblico – ma in questi anni venti i We Are Scientists sembrano pronti a scrivere nuove pagine vive e corpose della loro storia.

Senza più pressioni o aspettative, chissà, ma sicuramente dettati dalla passione e dalla voglia di dire ancora la loro in un panorama musicale nel frattempo sempre meno diviso in steccati, cosi che alla fine c’è davvero posto per tutti.

L’importante è riuscire a trovare la chiave giusta per comunicare e in questo Murray e Cain hanno messo sempre al primo posto la sostanza, la musica, magari veicolata in forme diverse (abbiamo ancora negli occhi alcuni videoclip che corredarono i loro migliori singoli), con la giusta voglia in primis di divertirsi.

A maggior ragione da quando hanno iniziato a contaminare la loro musica (di chiara matrice post-punk come detto) con i colori vintage dell’elettronica, che ha finito ormai per tessere ogni struttura musicale, andando di pari passo con melodie spesso vincenti.

Basta dare un ascolto alle tracce che compongono “Lobes” per accorgersi che l’ispirazione vola ancora alta: dall’opener “Operator Error” alla briosa “Human Resources”; dall’accorata “Turn It Up” (che sprizza sapori eighties da ogni poro) alla funkyeggiante “Settled Accounts” i Nostri mettono su disco un compendio di come possa (o, meglio, debba) suonare un buon album pop rock al giorno d’oggi.

Non mancano episodi più riflessivi, anche se non si entra mai nel campo della mera introspezione, come se la cifra stilistica volesse essere fedele a se stessa in tutto l’arco di queste dodici tracce, ma ecco, mi piace citare l’ampio respiro romantico che alberga in “Parachute” e la dichiarazione di intenti di “Dispense With Sentiment”, piccolo gioiello venato di malinconia.

Ad abbassare un giudizio che rimane comunque ampiamente positivo è il fatto che i We Are Scientists in questo abito cucitosi addosso ci stanno sin troppo bene, e pare proprio non abbiano più intenzione di stupire l’ascoltatore con soluzioni più varie e, perché no?, un minimo azzardate, “limitandosi” così a primeggiare nella loro confort zone.

Ma alla fine quello che ci rimane di questo disco è un ascolto assolutamente gradevole, che mi sento pertanto di consigliare a tutti, visto anche l’alto grado di accessibilità.