Che personaggio magnifico Luke Haines, talento indiscutibile e leader degli Auteurs: uno che negli anni del Brit-pop non ci stava per nulla comodo e a suo agio. Ma il ruolo di pecora nera non gli è mai andato affatto stretto o scomodo, tutt’altro.

I The Auteurs fin dai primi brani si fanno ben notare e la penna di Luke non passa inosservata. L’attesa per il primo disco era alta. La scia che la band sembra seguire era quella dei Suede, raffinata decadenza, molto meno glam se vogliamo e forse anche meno simpatia per le luci della ribalta. Haines e i suoi Auteurs preferiranno infatti sempre tenersi in disparte, nella penombra, un po’ come i personaggi dei suoi brani, tutt’altro che dei vincitori.

Fa sorridere come i The Auteus furono messi dalla stampa come band in prima linea contro “l’invasione americana”. la cosa non è mai stata ne voluta ne apprezzata dallo stesso Haines, ma in effetti se proprio vogliamo stare al gioco, qui l’atmosfera è decisamente “anti-grunge”, così poetica (a modo suo), esteticamente curatissima e decisamente british, come se Haines fosse riuscito nell’impresa di modulare il suo sound e le su liriche su un romanzo di Dickens.

La copertina in bianco e nero ci da una perfetta misura di un sound elegantissimo, delicato ma anche tratteggiato da puntate più elettriche (quella chitarra tagliente come un rasoio di “How Could I Be Wrong”, tanto per fare un esempio, o il fragore di “American Guitars”) ma arrangiate anche in modo sobrio, con qualche arco piazzato in modo strategico. Romanticismo e decadenza, ombre più che luci, malinconia agrodolce e ironia sdegnata, con un mezzo sorriso beffardo sul volto. Luke Haines inizia il suo percorso di outsider, ruolo che manterrà lungo tutto il suo percorso artistico: lontano dalle luci della ribalta, schivo ma con gli occhi bene aperti sulla realtà che lo circonda.

Morbide ballate, mid tempo micidiali (“Housebreaker” con un incedere quasi teatrale e la magnifica “Bailed Out” a svettare), un singolo di grandissima caratura (“Show Girl” con quella splendida chitarra iniziale e poi quello stop carico di attesa e Haines che parte languido, per arrivare a un ritornello d’alta scuola e pure a un piccolo assolo che ci sta benissimo), giri di chitarra semplici eppure dannatamente efficaci (“Idiot Brother” su tutti) e poi qualche piccolo e fulminante accenno di tensione indie-rock (“Early Years” e la nascosta “Subculture”). Ecco i punti salienti di un disco che, al di là di qualche mia veloce segnalazione, si muove perfetto nella sua interezza e, 30 anni dopo, brilla ancora di luce propria.

Pubblicazione: 22 febbraio 1993
Genere: Alternative rock, indie pop
Lunghezza: 43:41
Label: Hut
Produttore: Phil Vinall, Luke Haines

Tracklist:
Show Girl
Bailed Out
American Guitars
Junk Shop Clothes
Don’t Trust the Stars
Starstruck
How Could I Be Wrong
Housebreaker
Valet Parking
Idiot Brother
Early Years
Home Again / Subculture (They Can’t Find Him)