Lo shoegaze è la dimostrazione che le cose possono cambiare. “Souvlaki” in particolar modo ne è esempio lampante. All’epoca della sua uscita il disco fu massacrato sulle pagine dei magazine inglesi più gettonati, troppo “impalpabili” per essere compreso da recensori faciloni. Ricordo, pensa te, invece che in Italia, sulla rivista che (all’epoca) leggevo con gran piacere, Rumore, successe il contrario. L’album fu (stranamente, perché Claudio Sorge & Co. disprezzavano lo shoegaze) apprezzato, perché si notava nella band una voglia di stare più legati alla forma canzone rispetto all’esordio e la presenza di Brian Eno aveva sicuramente giovato. Ma ritorno al mio assunto principale, quello sul cambiamento. “Souvlaki” nel corso degli anni diventerà album fondamentale, a dire poco, per lo shoegaze e il dream-pop e, in questi anni di rivalutazione assoluta del genere, esempio mirabile a cui rapportarsi. Slowdive, My Bloody Valentine e Ride, quante volte abbiamo sentito nominare insieme queste tre band come parte della “santissima trinità” dello shoegaze? Beh, se gli Slowdive sono così quotati il merito è in gran parte proprio di questo album meraviglioso.
Comunque si, le cose cambiano, per fortuna. Ed è il bello della musica e della vita in generale. Il sogno incantevole, il sentiero delicato in cui ci conducevano gli Slowdive 30 anni fa ora si è fatto strada maestra, fonte superba e superlativa a cui attingere per perdersi in un mondo onirico, dimenticando, per quella quarantina di minuti, tutto ciò che ci circonda. Il potere “salvifico” se vogliamo della musica è tutto qui: mettersi un paio di cuffie e riuscire ad estraniarsi dalla realtà. Con un album come “Souvlaki” è così semplice che sembra incredibile.
Se dovessimo fare i pignoli in questo disco prevale il dream-pop, prevale quella parte slabbrata e vaporosa che potrebbe tranquillamente durare all’infinito, capace com’è di sostenere il nostro corpo in totale assenza di gravità. Cosa sono canzoni come “Alison” (la perla assoluta della band a mio avviso) o “Machine Gun” (che ho sempre pensato sarebbe stata benissimo nella colona sonora di “Twin Peaks”) se non finestre su un mondo fantastico e visionario? “Here She Comes” è minimalista e leggerissima, “Sing” è irrealtà impalpabile in musica, mentre “Dagger” sembra quasi predire il futuro dei Mojave 3. Eppure lo shoegaze puro non manca, dalla partenza di “40 Days” a quel dub imbastardito di “Souvlaki Space Station” alle le esplosioni di “When The Sun Hits”.
Un perfetto equilibrio che, 30 anni fa, non fu capito e ora è considerato come una pietra miliare. Si, le cose cambiano. Per fortuna.
Pubblicazione: 17 maggio 1993
Durata: 40:40
Genere: Dream pop, Shoegaze
Etichetta: Creation Records
Tracklist:
Alison
Machine Gun
40 Days
Sing
Here She Comes
Souvlaki Space Station
When the Sun Hits
Altogether
Melon Yellow
Dagger