Il Festival Tener-a-mente è arrivato alla dodicesima edizione, fa sicuramente parte degli appuntamenti imperdibili della stagione estiva italiana e non, perché l’esperienza di vivere un concerto in un posto così suggestivo annovera la rassegna al Vittoriale di Gardone Riviera come qualcosa di unico ed imperdibile, quanto irripetibile.
Detto questo abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Viola Costa che insieme alla sorella Rita è al timone del team che organizza il festival dall’ormai lontano 2011.
Innanzitutto grazie mille per la disponibilità, per noi è un piacere averti su Indie for Bunnies Rompo il ghiaccio, chiedendoti le impressioni sull’ultima edizione, la prima dopo gli anni pandemici, io ho avuto la fortuna di presenziare ai concerti di Tallest Man On Earth e Manuel Agnelli, ed era come tornare nel posto giusto dopo un po’ di tempo, una sorta di ritorno a casa.
La scorsa edizione è stata quella del ritorno alla normalità, non tanto per un discorso legato alle capienze, ma alla vocazione internazionale che il festival ha acquisito negli anni, siamo sempre stati orientati anche ad un cartellone italiano, ma prevalentemente verso una bill internazionale appunto e questo non per esterofilia, semplicemente perché c’è il desiderio di guardare senza preclusione alla produzione musicale, musicisti che abbiano realmente qualcosa da dire, ce ne sono tanti e pescando senza limiti, inevitabilmente ce ne sono tanti che arrivano dall’estero, il nostro compito è quello di scegliere.
Quindi il ritorno ad una nostra normalità, abbiamo messo la ciliegina su un travaglio di due anni, abbiamo chiuso quel tristissimo periodo.
Il recupero di Beck, per esempio, che corteggiavamo da anni, James Blunt, che ha, anche lui, recuperato, senza cancellare, quindi Micheal Kiwanuka, su cui avevamo scommesso molto, la stessa Beth Hart in data unica, amatissima che l’aspettavano dal 2020, Fantastic Negrito arrivato all’ultimo.
E’ stato un cartellone particolarmente bello, penso anche a Paolo Nutini, che ha fatto sold out in sei minuti, facendo sparire la mappa del teatro da quanti erano collegati, impressionante per quanto ci riguarda, siamo pur sempre una piccola realtà; il concerto del compianto Jeff Beck, quello del 18 Luglio, con ospite Johnny Depp, per cui qualcuno ha storto il naso, ma citando Alice Cooper, che dice da anni, parlando del collega, “è un grande musicista che ogni tanto fa anche cinema“.
Il pubblico ha risposto benissimo, in un modo emozionante, al ritorno alla normalità, c’era proprio la soddisfazione sui volti, tutti molto collaborativi, torniamo al Vittoriale, a vedere un concerto come si deve, perchè poi ovviamente il pubblico diventa molto simile a chi organizza, ci si seleziona, ci si sceglie, il Vittoriale è un posto molto bello dal punto di vista paesaggistico, architettonico, storico, però è vero anche chi identifica il concerto rock con il fatto di ballare sotto il palco con la birra in mano, sono cose che da noi non si possono fare, non puoi portare alcolici, cibo, è un altro tipo di fruizione.
La commissione di pubblico spettacolo, che è quella che determina le caratteristiche che deve avere il luogo per ospitare spettacoli ha determinato che questo è un teatro che ha 1500 posti a sedere, quindi quando sono completi questi, possiamo aprire posti in piedi alle spalle della gradinata, io lo dico sempre, questo è un teatro, un museo, non è una piazza, è un teatro anche si sta all’aperto, qui si viene per ascoltare musica, si, è proprio un altro tipo di fruizione. E’ un posto molto raccolto, che non sembra nemmeno possa ospitare 1500 persone. Il punto più lontano è a 40 metri dal palco, quello più vicino forse 3, rimane un’esperienza.
Un programma sempre molto esaustivo ed eterogeneo per accontentare più pubblici, come del resto, deve essere un festival stesso, quali, se ci sono, le punte dell’iceberg di questa edizione.
Intanto ti dico che il fatto che sia un cartellone eterogeneo, differenza tra i generi, i linguaggi espressivi degli artisti, ma è anche vero che ci sia un evidente filo rosso, un filo conduttore tra i vari eventi.
Non c’è un vero pubblico di Tener-a-mente, noi intercettiamo il pubblico degli artisti stessi, vengono perché amano quel musicista e fanno anche moltissima strada per venire a vederlo, eppure quando finisce la stagione e incominciamo a ricevere le richieste di utenti che ci scrivono, quasi sempre vengono citati artisti sono già sull’agenda o comunque all’orizzonte dei nostri interessi, ciò significa che abbiamo comunque un pubblico che ha un’identità simile a questo cartellone, al di la dei diversi linguaggi dei singoli artisti. Io stessa sono fan di Herbie Hanckcock o di Damien Rice due artisti che hanno pochissimo in comune.
Tornando alla domanda, se devo farti alcuni nomi, il concerto da cui mi aspetto tantissimo, è quello del 6 luglio, Nils Frahm, sarà un’esperienza. Un artista straordinario e vederlo su un palco come questo regalerà vibrazioni, forse, ancora in Italia, non è apprezzato e conosciuto quanto meriterebbe, per molti anni abbiamo pensato di portarlo a Gardone, quest’anno ci proviamo, non so come andrà in termini numerici, ma credo che sarà il concerto gioiello di questa edizione, così come se dovessi farti un nome italiano, ti direi che Venerus, è un’altro di quegli artisti giovani, solidi, musicalmente molto granitico ma estremamente innovativo, che aspetto con molta curiosità, credo che sia un live che possa sorprendere. L’ultimo nome che ti faccio, dove, in questo caso, non mi sento una talent scout, è quello di Jacob Collier, giovane polistrumentista, con 5 Grammy, con attestati di stima anche da artisti blasonati, molto trasversale e da lui mi aspetto un concerto travolgente. Non ti ho fatto i nomi più popolari, quelli più scontati; in coda, ti cito, anche il concerto di Dean Lewis, da cui mi aspetto molto.
Domanda OFF TOPIC, tu riesci a goderti i concerti?
Non ne ho visto neanche uno, in 12 anni, li ascolto dall’ufficio, io di solito vado al palco, mi sento il primo brano e arrivo almeno per i bis. (La dura legge dell’organizzatore, risate).
In realtà per me c’è un’emozione che è sempre veramente identica, tutta la fatica del promoter, è quella di organizzare, ovvero di creare le condizioni, perché lo spettacolo si compia nella maniera migliore possibile, di mettere in condizione l’artista di esibirsi al meglio e il pubblico di fruire dello show.
Quando l’ospite sale sul palco e il pubblico esplode in un boato di accoglienza, il nostro lavoro non dico sia finito, ma quasi e quando si compie questo rito, mi scende sempre una lacrima di commozione.
Probabilmente l’ho letto anche da qualche parte, mi sono sempre chiesto se siano proprio gli artisti stessi a chiedere di potersi esibire in un posto così storico e suggerstivo, anche al punto di scendere ad un compromesso economico vista la capienza ridotta?
Grazie al cielo succede!
Il primo anno, avevo contattato una delle due più grosse agenzie italiane, mi ricordo sempre la loro risposta, “noi quel posto lo conosciamo, non ha mai funzionato e non funzionerà mai e quindi scusa non ce la sentiamo di darti alcun artista”, una pacca sulla spalla iniziale per iniziare; ma dopo quella prima edizione con un cartello, rileggendolo ora, molto più naif, già quella stessa agenzia ha iniziato a ricredersi, ed è la stessa con la quale, oggi, lavoriamo di più con gratitudine enorme, stima e passione, sia per il loro lavoro che per questo luogo.
Poi capita proprio che siano i manager internazionali, che magari affiancano più artisti, che sono già stati da noi, che interagiscono al fine di proporre un altro loro assistito, per cui questa location sarebbe l’ideale.
Qualche volta è successo anche che siano stati gli stessi artisti internazionali, che dopo aver visto foto, abbiano chiesto di potersi esibire al festival. E succede sempre che adeguino il cachet alla capienza disponibile di un teatro di 1500 posti, il 95% dei costi si regge sulla vendita dei biglietti, quindi è essenziale che gli artisti scendano ad un compromesso, perché, in questo caso, il luogo aggiunge valore, aggiunge spettacolo allo spettacolo.
Voglio partire da una mia sete di curiosità, che poi è una domanda, se vuoi, banale, che immagino ti abbiano anche già fatto, quali sono, se ci sono, ma credo proprio di sì, i 3/4 artisti ancora nel cassetto che prima o poi arriveranno a Gardone, come dire? Costi quel che costi
Come no, che ci sono, il primo che avrei voluto portare, che avrei dato l’anima, fu proprio Jeff Beck, ma io sono molto scaramantica quindi non ti farò nomi che ho in mente per le prossime edizioni, ti dico solo che il presidente del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, giusto per mantenere basse le aspettative, ci dice sempre che dobbiamo portare i Rolling Stones. (Risate)
Ricollegandomi alla domanda precedente, quali sono invece gli artisti, tra i tantissimi, che sono passati “vista lago” che invece ti senti di ricordare per qualcosa di oltre lo straordinario, le imprese di una vita.
Oltre al citato Jeff Beck, uno che senz’altro era un idolo e uno spauracchio allo stesso tempo era Keith Jarrett, uno di quelli, che fortunatamente, siamo riusciti a portare, prima dei noti problemi di salute, fu un concerto indimenticabile il suo, la sera prima si esibì ad Umbria jazz e per una sua fobia verso le foto, che vennero scattate da uno spettatore, dopo due brani se ne tornò in camerino, per riuscire due ore più tardi e suonare a luci spente, per non essere proprio fotografato, per i pochi temerari rimasti, quindi ti lascio pensare come eravamo rilassati a saperlo il giorno dopo da noi, invece andò benissimo, fece anche un bis, un altro artista del cuore fu Steven Nilson, che venne nel 2016 con un tratto distintivo straordinario, altri due nomi che ti posso fare David Byrne insieme a St. Vincent, e quel genio di Damon Albarn, poi ovviamente sono tutti figli miei.
Qual è l’obiettivo futuro di questo festival? Può essere sostenibile un evento con più artisti a sera, concatenato a più serate all’interno della rassegna stessa? Sulla falsa riga di un festival standard (Penso al Todays o a Ypsig Rock, che insieme a Teneramente sono il fiore all’occhiello per qualità, ricerca e lungimiranza, oggi, nel nostro paese), portando headliner e puntando su qualche next big thing.
Si si guarda, è un nostro sogno del cassetto, intanto parlo al plurale, perché non sono solo io ad organizzare il festival ma c’è anche mia sorella Rita, che si occupa più degli artisti stessi, rimane più nell’ombra; tornando al discorso, è un nostro pallino da tanto tempo, il vero problema è una questione economica, di sostenibilità di più ospiti per un unico biglietto, ci sono poi dei limiti strutturali (Per esempio di avere un unico palco), anche se abbiamo un palco secondario, e ricollegandomi alla domanda precedente mi viene da citare Artur Lindsay che fece uno strepitoso concerto noise proprio su quel secondo palco al laghetto delle danze, una delle esperienze più intense di sempre.
Si tratterebbe di trovare i fondi, un finanziamento, uno sponsor per raggiungere questo obbiettivo. Un altro elemento che non ci aiuta, è il servizio bar, che non è possibile svolgere all’interno del teatro, fonte di sostentamento per molti eventi.
Un ultima domanda, prima di salutarti, che faccio spesso quanto incontro un promoter, quindi addentrandomi in qualcosa di molto più futile, ma sempre curioso, ti chiedo se c’è, anche senza fare il nome del peccatore, un aneddoto divertente da raccontare, magari una delle richieste più bizzarre.
Te ne racconto anche più di uno, senza fare nomi: ricordo un artista che ci chiese, prima di arrivare, di fotografare il palco ogni ora a partire dalle 10 del mattino fino alle 21, per monitorare lo spostamento dell’ombra, in funzione del spostamento del sole e poi ci ha mandò la richiesta di otto ombrelloni da sole, bianchi, tutti uguali, senza scritte, con il disegno di come avremmo dovuto spostarli sul palco ogni ora per compensare lo spostamento del sole.
Il secondo è noto, lo stesso Keith Jarrett, che volle un foglietto da distribuire ad ogni singolo spettatore, con le regole tassative da seguire, e la prima era vietato tossire! (Qui ulteriore risate di un certo peso)
Un ultimo che ti racconto sempre senza dire il peccatore, tu sai che noi siamo un teatro “dog friendly”, la possibilità di portare il proprio cane in una zona precisa, senza infastidire nessuno, quindi ci sono anche gli stessi artisti che portano i loro cani e li vediamo le cose più assurde, finché ci sono le esigenze alimentari per la crew, fa parte della normalità, ma un cane vegano non l’avevamo mai visto, quindi il ristorante che prepara la cena ai nostri artisti, si è dovuto inventare un hamburger vegano, poi questo stesso cane, una specie di volpino indemoniato che mordeva chiunque si avvicinasse, e proprio come rito propiziatorio, i musicisti, coinvolgendo anche mia sorella Rita e alcuni colleghi del nostro staff, presero questo scatenato volpino, si misero in cerchio, passandoselo, fino a quando il cane non avesse morso qualcuno e quel punto si poteva interrompere il gioco e iniziare lo spettacolo.
Ce n’è anche uno tenerissimo, un grandissimo artista, straordinario, specificò proprio che ci fosse un pacchetto di caramelle a forma di orsacchiotto.
Un altro degli artisti del cuore, Ryan Adams, non ha praticamente parlato con nessuno per tutto il giorno, e ci ha solo chiesto di cercare per lui, appassionato di vintage, un juke box da poter acquistare, quindi uno di noi si è messo alla ricerca; quindi a fine serata, sempre senza parlare con nessuno, ha incrociato la nostra mascotte, un beagle e si è messo a parlare con lui e a coccolarlo, insomma aneddoti in grande quantità tanto da poterci scrivere un libro.