A volte si potrebbe pensare che certi veterani, in qualsiasi genere musicale, sia chiaro, non abbiano più nulla da dire e magari pubblichino album solo per giustificare un tour. A dire il vero lo si pensa perché spesso accade proprio così. Ma è bello quando certe formazioni “storiche” smentiscono questo assunto, piazzando dischi di alta qualità, in cui la freschezza della composizione viene arricchita proprio da quel gusto “della vecchia scuola” che diventa la ciliegina sulla torta. I Film School sono nati alla fine degli anni ’90 e non sempre la fortuna ha guardato dalla loro parte, sembrava sempre che ci fosse qualcuno a rubare i meritati riflettori. Eppure in ambito psych-shoegaze la band di Greg Bertens non ha mai davvero avuto nulla da imparare, anzi, ha spesso fatto scuola. “Field” è il nuovo, affascinante, album appena uscito. Un nuovo viaggio, ricco di spunti, suggestioni e influenze: un percorso stimolante e ricco di gran belle melodie. La band sviluppa la sua base psichedelica non perde mai di vista la forma canzone e così tra synth, shoegaze, echi di krautrock, vie circolari che trovano sbocchi sonici incalzanti la nostra attenzione non viene mai meno. La band si dimostra perfettamente a suo agio in spazi ampi e notturni così come in altri momenti in cui, invece, la ritmica la fa da padrona, a tal punto che spesso non è la chitarra l’elemento principale, ma ci sembrano proprio il basso e la batteria. Liquidi e visionari, suggestivi e graffianti, i Film School piazzano un disco bello e importante, forse uno dei migliori della band: dopo tanti anni di carriera l’ispirazione non sta affatto venendo meno.
Di fronte a un disco che ci è piaciuto così tanto non potevamo non approfondire il discorso proprio con Greg Bertens che, molto gentilmente, ha risposto alle nostre domande…
Ciao Greg, come va? Inizierei con una domanda che sembra banale, ma forse non così tanto. Se Wikipedia non si sbaglia, nel 2023 i Film Schoolcompiranno ben 25 anni. Onestamente Greg, pensavi che avresti mai raggiunto un tale traguardo?
No, non ho mai pensato che I Film School sarebbero andati avanti per 25 anni. E con molti degli stessi membri. E pensa che 3 dei nostri ultimi 7 album sono stati realizzati negli ultimi 6 anni. Credo che la cosa più strana di tutto questo sia che sembra che stiamo raggiungendo ora il nostro apice.
Ma tu, che sei nel mondo della musica e, sebbene in un contesto indie, anche nel business musicale, da così tanti anni…pensi che le cose siano migliorate o peggiorate? Più fruibilità, musica ovunque ma forse meno attenzione da parte degli ascoltatori? È più facile essere un musicista nel 2023 o lo era negli anni ’90?
Ricordo che “Hideout” era in trend su un sito di torrent nel 2007 (!) e pensavo: “Questo renderà molto più facile far arrivare la nostra musica ai nostri fan“. Ed è vero, la distribuzione digitale è fantastica in questo senso. Non so se sia più difficile o più facile per i musicisti indie, forse è solo più complesso. Ora c’è l’elemento dei social media, credo che questa sia la differenza principale. Puoi interagire direttamente con i fan, ma la creazione di contenuti richiede molto tempo e sei giudicato dalle etichette, dai festival, da tutti in base al numero dei tuoi follower. Alla fine devi concentrarti sullo scrivere buona musica e inviarla a persone che rispetti (altri musicisti, etichette, band per cui vuoi aprire, ecc.), sono elementi davvero importanti se vuoi far progredire la tua musica. E ignorare il resto del rumore. Come sempre.
Cominciamo a parlare di questo nuovo album. Sai, sono un grande amante dello shoegaze e mi piace come questo genere musicale riesca a contaminarsi con altre idee e spunti sonori, penso ad esempio ai bdrmm, una band che adoro e che, nel nuovo album, è stata influenzata molto dai Radiohead. Nel vostro caso mi piace pensare che la contaminazione maggiore sia la psichedelia, cosa ne pensi?
Ho sempre apprezzato le jam psych ripetitive, soprattutto dal vivo, quindi sì, vedo quasta influenza. Abbiamo suonato con gli Holy Wave al SXSW e avevano un pezzo psych che mi è piaciuto molto. Una delle nuove canzoni di “Field” è stata ispirata da quella serata. Ma lo shoegaze si è allargato in generale, e doveva farlo. Gli anni 2000 sono stati l’età oscura dello shoegaze. All’epoca la definizione era ristretta, come se qualsiasi gruppo di chitarra che usasse pesanti ritardi e riverberi fosse paragonato ai MBV. Se suonavi come loro, la stampa ti accusava di essere un clone, se non lo facevi venivi gettato nel temuto bidone del post-rock. Ora tutto è molto più inclusivo e interessante per me. Mi piace come i nuovi gruppi stiano espandendo un po’ le cose.
Che bella l’apertura con “Tape Rewind”: secondo me è un chiaro biglietto da visita, un segnale forte per l’ascoltatore, sembra quasi un contenitore di tutti gli aspetti del disco, lo pensi anche tu?
È una delle ultime canzoni che abbiamo terminato per l’album, quindi per me rappresenta davvero il punto in cui il nostro sound e il nostro cuore si trovano attualmente. Questa canzone ha rischiato di non entrare nell’album. Abbiamo ricevuto un feedback iniziale da un demo che diceva che era solo ok. Fai attenzione a suonare demo per persone esterne alla tua band. Sapevo che sarebbe stata grandiosa e che doveva essere inserita nell’album, aveva una densità e una pesantezza che risuonavano alla grande per me. È una delle mie preferite e dal vivo suonerà benissimo.
Mi piace tantissimo, come ti dicevo, quando il vostro suono diventa circolare e ipnotico, penso ad esempio a una canzone come “Don’t You Ever”: come è nata l’idea di quella parte parlata all’interno della canzone?
Grazie, anche a me piace la natura “drone” della canzone. Non volevo inserire un tipico cambio di accordi né spezzare completamente la canzone, ma c’era bisogno di qualcosa. Non ricordo come mi è venuto in mente, ma ho pensato che forse avremmo potuto fare un monologo tipo Sonic Youth/Kim Gordon. Sono ipnotizzato da lei in quei momenti. Penso che Noël l’abbia azzeccata e mi piace vederla recitare quella parte dal vivo.
Sai che una canzone come “Baby” mi ha ricordato gli Stereolab? Sono così fuoristrada?
È forte. Forse è la voce finale? Non l’ho mai pensato, credo che la canzone mi piaccia ancora di più ora che l’hai detto.
Le chitarre sono sicuramente importanti nei Film School, ma posso dire che, in più di una canzone, il lavoro ritmico è a dir poco fondamentale? Il basso e la batteria fanno un lavoro encomiabile nell’economia del vostro suono, cosa ne pensi?
Assolutamente sì, e non sei il primo a notarlo. Justin è un musicista e bassista di grande talento, sia per il ritmo che per la melodia. Da lui partono molte delle nostre idee per le canzoni. Anche Adam è un fuoriclasse, e in studio, durante le registrazioni della batteria, se ne esce con ritmi assolutamente inaspettati e radicali.
Adoro la doppietta “Is This A Hotel?”/”Up A Spacecraft”. Sono due canzoni che amo e che mi sembrano quasi agli antipodi, ma con un punto in comune. Mi spiego. Nel mio immaginario, la prima sembra una canzone di un film di fantascienza, nello spazio, tra le stelle, forse sarà per la presenza di quei synth ossessionanti, mentre la seconda è una meravigliosa ballata che mi riporta sulla terra, con persone che, al buio, parlano, in solitudine, ma poi ecco che nel finale della canzone, quelle pèersone è come se guardassero in alto, verso quelle stelle lontanissime. Forse ti verrà da ridere per questa mia interpretazione, ma è così che mi sento, ascoltando queste due bellissime canzoni….
Hai ragione Ricky, sto sorridendo, ma non perché hai detto cose assurde. Anzi, è davvero dolce quello che scrivi. Penso che ciò che ascoltiamo nelle canzoni, che vediamo nell’arte, possa darci una visione di noi stessi. “Up A Spacecraft” parla di un’amica che è morta troppo giovane. Mi manca ancora, mi piace il tuo visual e l’idea di guardare verso stelle molto lontane, forse di vedere un po’ di lei lassù.
Un’atmosfera notturna e crepuscolare la ritrovo anche nella bellissima “Tell Me Why”. Come è nata questa bellissima canzone?
Mi sembra di ricordare che non c’era l’intenzione di scrivere una canzone, ma Nyles, Justin e io ci siamo messi a giocherellare con toni e ritmi nel cuore della notte in una sessione di scrittura a Joshua Tree. Tutto è notturno, si.
“All I’ll Ever Be” è meravigliosa. Ha una melodia così chiara. Ma è vero che la canzone è nata per essere solo chitarra acustica e voce?
Beh, il demo è stato scritto in quel modo e non ero sicuro che sarebbe stata una canzone per la band. Non mi aspettavo che la canzone si sviluppasse nel modo in cui si è sviluppata, Nyles ha portato un’atmosfera cool alla Cocteau Twins/Lush con le chitarre. In origine la canzone era più incentrata sul testo che su altro. Era una specie di esercizio che mi era stato dato per vedere alcuni dei miei comportamenti da festaiolo attraverso gli occhi di mia moglie. Mi sembra che la canzone mi abbia aiutato a vedere il suo punto di vista su ciò che avevo sempre considerato “divertirsi”. Non è stato un bel momento per lei, sono grato che siamo ancora insieme.
Le note stampa usano parole importanti per descrivere i temi del disco: rimpianto, disconnessione e frustrazione. Si potrebbe pensare a un disco cupo, quasi disperato. Eppure non arrivo alla fine del disco con una sensazione di disperazione e sconfitta, credo che anche per te Greg non manchino momenti positivi o in cui ti accetti per quello che sei, o sbaglio?
No naturalmente. Ed è sicuramente l’obiettivo, c’è gioia nella mia vita adulta. Ma credo che l’accettazione significhi riconciliazione tra il sé interiore e quello esteriore, il che richiede un lavoro continuo, almeno per me. Guardandomi indietro, vedo che da giovane avevo molta insicurezza, ammantata di arroganza. Da anziano mi sento più sicuro di me stesso, ma l’accettazione di sé non avviene e basta, è un viaggio che dura tutta la vita. Come artista, mi piace far emergere i sentimenti e i momenti più difficili che tutti noi attraversiamo privatamente, che siano miei o di altri, e credo che la gente si relazioni a questo nella nostra musica. La lotta è universale, eppure i nostri social feed ci fanno credere di essere gli unici a viverla. Il DJ John Richards di KEXP ha un mantra che ripete spesso: “Non sei solo”. L’ho sempre apprezzato, e gli artisti che si mettono in gioco, senza giudicare, mi sembrano veri e mi hanno aiutato a non sentirmi così solo nelle mie lotte.
Sai che quella copertina mi disturba un po’? È come quando guardo fuori dal finestrino mentre sono su un treno ad alta velocità… tutto passa così velocemente. Ho sempre la sensazione che mi manchi qualcosa. Come mai ha scelto quell’immagine?
L’immagine è esattamente così: una foto da un treno ad alta velocità, su un percorso da Glasgow ad Aberdeen in febbraio. È una foto scattata da Yogi Duncan @yogi_shoegazer. L’ha pubblicata sul suo feed e gli ho chiesto se potevamo usarla. Adoro i colori tenui e la sfocatura. Mi ricorda di quando ero bambino e guardavo fuori dal finestrino di un’auto durante un viaggio in macchina, distaccato dalla realtà, pura immaginazione. Inoltre, si sposa bene con il nome dell’album “Field” in molti modi.
Grazie mille Greg per la tua gentilezza, siamo giunti alla fine di questa chiacchierata via e-mail. Quali sono i progetti ora che il disco è uscito? Potremo vedervi in Europa?
Sì, per la prima volta dopo tanto tempo abbiamo molti concerti in Europa e nel Regno Unito, tutti a settembre e ottobre. Stiamo pubblicando le date sui nostri social man mano che arrivano! Spero di vedervi ad uno show e grazie ancora per le tue belle domande.