Ennesima svolta artistica per la cantante statunitense Poppy che, dopo averci incuriosito con il pop metal super-aggressivo di “I Disagree” e con l’alternative rock alquanto tradizionale di “Flux”, torna in pista con un album che sembra volersi riconnettere a quelle sonorità sintetiche già centrali all’inizio della sua carriera.
In questo caso, però, non si segnalano incursioni nei territori del bubblegum o del synth-pop. Al centro della scena vi sono le atmosfere oscure e disumane di un industrial moderno, freddo ma decisamente accessibile, “addolcito” da un gusto melodico efficace e da una certa attenzione alle soluzioni più semplici e, detto in maniera assai generica, modaiole.
“Zig” è infatti un album furbetto. Sotto la scorza alternativa si nascondono undici brani concepiti come potenziali hit e costruiti ad arte per far venire l’acquolina in bocca a tutti gli amanti del sound sporco ma plastificato di un electropop tanto dark quanto commerciale. Il risultato finale non è molto convincente: il progetto è stuzzicante ma poco interessante – privo non solo di scossoni o colpi di scena, ma anche di canzoni realmente degne di nota.
“Zig” gira davvero bene solo quando Poppy riscopre il suo lato più duro o “metallico”. Da questo punto di vista non deludono le aspettative la reznoriana “Church Outfit” e la glitchata “Zig”, due brani ispirati e coinvolgenti che racchiudono l’essenza stessa di un’artista che, nonostante le continue giravolte, resta sempre e costantemente capace di essere al tempo stesso dolce e ruvida.
E per quanto riguarda il resto? C’è ben poco da segnalare. Se escludiamo le due tracce già citate e la micidiale “Motorbike”, una canzone dance pop che si stampa in testa sin dal primissimo ascolto, “Zig” ha ben poco da offrire. Un album che scorre via senza lasciare il segno, pieno zeppo di spunti elettronici utilizzati più che altro come pretesto per gonfiare un’opera alquanto fiacca. Dietro la mole impressionante di effetti e sintetizzatori non c’è quasi nulla. Peccato!