Cosa aggiungere riguardo ad un super-disco di cui è stato già detto e scritto tutto? Beh, tantissimo, volendo. Partendo, però, con la “smentita” di una sorta di “falso storico”: quello di “Breakfast In America” dei Supertramp, pubblicato oggi – quarantacinque fa – non è art-rock, non è progressive, non è pop. Ma Art. Art e basta. Come definireste, altrimenti, un disco che dopo essere stato pubblicato all’inizio del 1979, è riuscito a maramaldeggiare praticamente ovunque fra classifiche musicali, radiofoniche, oltre che sulle vecchie (e bellissime) riviste di settore?

Epperò, questo successo un po’ folle ed incontrollato, mica se lo aspettavano Rick Davies e Rodger Hodgson (ovvero, i Borg e McEnroe della band)?! Certo che no. All’epoca, infatti, i sopraccitati leader della formazione inglese erano arrivati più o meno ai ferri corti, dividendosi in due fazioni contrapposte, un po’ come accadeva negli spogliatoi delle squadre di Calcio negli Anni Settanta, per l’appunto. Va da sé, naturalmente, che “Breakfast In America” giammai abbia risentito delle ruggini esistenti fra i membri del gruppo britannico. Anzi.

Provando ad entrare un po’ più nel profondo di un album che trasuda regalità musicale da ogni sua nota, risulta alquanto difficile non restare incantati dagli accordi iniziali del brano che ne apre le danze. “Gone Hollywood” è una squintalata di suoni che piombano sull’ascoltatore come piume dorate piovute da un cielo pezzato di accordi magniloquenti e di una melodia così incisiva da appiccicarsi addosso come l’accattivante fragranza di un profumo primaverile.

“The Logical Song”, invece, è la scintillante cascata-pop della band inglese. Non si tratta, però, di un mero incidente di percorso, né di una canzone realizzata per accontentare i deus ex machina delle etichette discografiche. Tutt’altro. “The Logical Song” è un brano cercato, voluto, costruito apposta per deliziare il pubblico a suon di falsetto e di una malinconia atavica che aleggia nell’aere come l’eco indefinito di un tempo non etichettabile. Poco da dire. Quando si pensa alla magnificenza di un disco come “Breakfast In America”, tuttavia, appare piuttosto inevitabile non associare la sua eterna epicità a quella della splendida title-track. Il brano numero quattro dell’album più blasonato dei Supertramp, infatti, è un concentrato di progressive rock – suonato come Dio comanda – unito ad un impianto orchestrale che lo rende una delle pietanze più ghiotte, non solo del l’opera in questione, ma dell’intera discografia dei Nostri.

E cosa dire dei due brani centrali, ovvero “Oh Darling” e “Take The Long Way Home”, se non che vanno ad arricchire ancor di più la già corposa collezione di gemme contenute in “Breakfast In America”? “Child Of Vision” e la sua lunga coda, infine, concludono degnamente un lavoro che resta uno dei più belli della musica mondiale.

Certo, non si tratterà di una pietra miliare del livello di “The Wall” dei Pink Floyd o dello stesso “Rumours” dei Fleetwood Mac – tanto per restare nell’ambito di album usciti, più o meno, nello stesso periodo – ma “la colazione in America” dei Supertramp, anche a distanza di ben quaranticinque anni, resta uno degli eventi metaforici più magicamente affascinanti a cui partecipare.

Mettetevi pure comodi, dunque, intorno al tavolino imbandito per noi da Rick Davies e Rodger Hodgson nel 1979.

Pubblicazione: 16 marzo 1979
Durata: 46:06
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: pop, art-rock, soft-rock, progressive
Etichetta: A&M
Produttore: Peter Henderson

Tracklist:

  1. Gone Hollywood
  2. The Logical Song
  3. Goodbye Stranger
  4. Breakfast In America
  5. Oh Darling
  6. Take The Long Way Home
  7. Lord Is It Mine
  8. Just Another Nervous Wreck
  9. Casual Conversations
  10. Child of Vision