Un bel po’ di anni fa, oramai, c’è stato un periodo (piuttosto breve, in verità) in cui citare i The Dandy Warhols fra le proprie influenze musicali rappresentava una sorta di lasciapassare verso le grazie ultra-integraliste dei cosiddetti cultori delle sette note. Tradotto in termini un po’ più spiccioli ed esplicativi, diciamo che c’è stata una certa fase transitoria, in cui i Nostri erano considerati più o meno “di moda”.
Ci riferiamo, ovviamente, ai primi anni Duemila ed ai tempi dove imperversava praticamente ovunque il brano (forse) più conosciuto (e da alcuni allegramente detestato) della discografia della band di Portland: “Bohemian Like You”. Ahinoi (ed ahiloro, soprattutto) ne è passata di acqua sotto i ponti da allora e gli ultimi capitoli della storia trentennale di Courtney Taylor-Taylor quasi mai sono riusciti nell’impresa di bissare successo e qualità dei lavori iniziali.
“Rockmaker” – questo il titolo dell’opera nuova della formazione dell’Oregon – arriva, dunque, in un momento storico non propriamente favorevole a tutti quei gruppi che un tempo venivano guardati, da pubblico ed addetti ai lavori, come i nuovi salvatori del Rock. Va da sé, naturalmente, che in campo artistico e più specificamente in quello musicale, non si viva di sola gloria. Ci mancherebbe. Ed allora, il buon Courtney con l’aiuto degli altri tre componenti della band – ovvero, il fido Peter Holmstrom alle chitarre, Zia McCabe alle tastiere e Brent DeBoer alla batteria – ha sfornato un disco che pur non demeritando in senso lato, nulla toglie e nulla aggiunge al ricco repertorio dei The Dandy Warhols.
Certo, “The Cross” è uno di quei pezzoni, spesso sottovalutati dai più, che si lascia ascoltare con una discreta piacevolezza, pieno com’è di riff chitarrosi e di taglienti linee di basso che affettano l’aria come formaggio stagionato. E lo stesso discorso, volendo, lo si potrebbe estendere pure alla bella, “Danzing With Myself”, un concentrato di epica eighties, sound shoegaze ed una buona dose di industrial realizzato come Dio Comanda.
Per ciò che concerne le note dolenti, invece, va subito sottolineato la poca incisività di uno dei brani che avevano destato maggiormente l’attenzione di chi scrive in fase di lettura della tracklist dell’album: sì, perché “I’d Like To Help You With Your Problem” – ossia l’attesissimo (almeno dal sottoscritto) featuring con Slash – non è altro che un’accozzaglia di suoni telefonatissimi conditi da un refrain alquanto insapore. Poca roba, in definitiva, tenuto conto dei protagonisti in ballo. E cosa dire di “The Summer Of Hate” se non che si tratta di un pezzo che gira intorno a degli accordi già triti e ritriti?
Va un po’ meglio con le tracce del lotto finale e con brani quali “Love Thyself” e “Real People”. La prima, rappresenta una sorta di incrocio fra lo shoegaze più canonico ed una darkwave a tinte più moderne. Mentre la seconda, invece, possiede un ritornello che non mantiene le promesse (o le premesse) iniziali. Insomma, provando a tirare un po’ le somme, il ritorno dei The Dandy Warhols a cinque anni dal precedente, “Why You So Crazy”, è un lavoro che si stagna fra le pieghe dignitose del passato, ma che non evidenzia alcun passo in avanti effettuato dalla band americana. “Rockmaker”, in definitiva, viene auto relegato a mero esercizio di stile, riuscendo a strappare una sufficienza semi-striminzita ma non a scaldare gli animi ed i cuori di coloro che vedevano in Courtney Taylor–Taylor una stella polare dell’indie-rock dei bei tempi che furono.