“Rooting For Love” è il nuovo capitolo discografico della cara, vecchia (si fa per dire) Lætitia Sadier. Musicalmente si tratta del solito trattato di avant-pop filosofico della Nostra, condito, però, con delle sonorità piuttosto accattivanti che riescono ad imprimere al nuovo lavoro dell’artista francese una sorta di lucentezza eterea maledettamente incisiva ed al passo coi tempi.
Va da sé, naturalmente, che la stella cometa degli Stereolab sia sempre lì, al centro dell’universo musicale di un artista che non ha più nulla da dimostrare e che proprio per questa ragione continua imperterrita nel suo percorso fatto di un art-pop considerevolmente patinato. Nell’accezione più alta del termine, ovviamente.
Del resto, basta ascoltare tracce quali “The Dash” – per chi scrive, la migliore del lotto – o la stessa “Don’t Forget You’re Mine”, per rendersi conto di trovarsi al cospetto di un progetto discografico maledettamente variegato e coeso. Poco da dire. Già. Perché “Rooting For Love”, se vogliamo, potrebbe essere inteso come una sorta di dichiarazione d’intenti da parte della cantante transalpina. L’amore per le sette note, per esempio, appare alquanto evidente addentrandoci sempre di più fra le pieghe regali di un disco che va ascoltato senza distrazioni di sorta per riuscire a comprenderne appieno il suo fascino recondito.
Prendete un pezzo come “The Inner Smile”: cos’altro rappresenta se non una squintalata di suoni dal retrogusto in odor di magniloquenza? Sarebbe cosa buona e giusta, tra l’altro, abbandonarsi all’ascolto dell’album in questione attraverso delle cuffie qualitativamente adatte all’immersione in un oceano musicale deliziosamente limpido. “Cloud 6″ conclude in maniera più che convincente un album che conferma – semmai ce ne fosse stato bisogno – tutta quella serie di peculiarità che hanno reso, nel tempo, Lætitia Sadier una delle artiste più complete dell’universo mainstream europeo.
“Rooting For Love”, infatti, è uno di quei dischi che lasciano il segno pur senza eccedere in roboanti dettagli sonori o in orpelli tediosi che servono solo a creare del fumo in cieli artistici senza sostanza. Certo, non si tratterà del disco dell’anno, ma dopo ben più di un lustro di “silenzio”, quello della Sadier rappresenta il ritorno audace di un artista che sa decisamente il fatto suo. Altroché.
In definitiva, si tratta di un lavoro scevro da “condizionamenti di mercato” e (anche) per questo, maledettamente cool. Raffinatezza e “mestiere”. Un binomio vincente. In pratica, il mood principale di un album sfavillante.