Poche band hanno raggiunto il livello di dinamismo e curiosità musicale dei texani Khruangbin che nel corso di quattro album  e un buon numero di collaborazioni eccellenti – “Ali” con Vieux Farka Tourè, “Texas Moon” con Leon Bridges, il live con  Toro Y Moi – si sono fatti notare per la grinta, la capacità di tenere il palco,  il sound ora evocativo ora trascinante e mai banale.

Credit: David Black

“A La Sala” è un ritorno alle origini, per questo trio di musicisti avventurosi che spronati dalla bassista Laura Lee Ochoa si sono ritrovati nella stanza evocata dal titolo senza troppe influenze esterne, solo le chitarre di Mark “Marko”  Speer e la batteria di Donald “DJ” Johnson, pochissimi overdub e il fido ingegnere Steve Christensen al loro fianco. 

Un disco musicalmente vario almeno quanto le sette copertine ideate per la versione in vinile che rappresentano altrettante finestre spalancate su panorami pubblici e privatissimi, quel piccoli momenti catturati per caso che poi si rivelano importanti. L’inizio è soft e suadente, affidato allo strumentale  “Fifteen Fifty-Three”,  alla dolcezza di “May Ninth” e “Ada Jean” ulteriore prova della scioltezza, della leggiadria del trio di Houston quando imbraccia gli strumenti.

Il gusto per le atmosfere dilatate, il lasciar correre la mente con spirito da jam session di brani come “Farolim de Felgueiras” e “Pon Pón” tra suggestioni ambient e ritmi tex – mex, “Todavía Viva” e “Juegos y Nubes” che guardano oltreconfine a Messico, nuvole e abili giochi ritmici che contagiano anche “Hold Me Up (Thank You)” fanno capire che qualcosa è mutato nelle serrate dinamiche dei Khruangbin.

Il minimalismo di “Caja de la Sala” e “Les Petits Gris”, l’intensità di “Three From Two”, il singolo – manifesto “A Love International” confermano che i tre i Houston sono entrati in una nuova fase meno estroversa e più raccolta, attenta ai minimi dettagli dell’esecuzione di ogni brano. Una reinvenzione, come l’hanno definita loro stessi. “A La Sala” non ha l’impatto di “Mordechai” né vuole averlo, mostra il lato più intimo di una band che suona per il puro piacere di farsi ascoltare.