Daughn Gibson ha qualcosa del Mike Delfino di “Desperate Housewives”. Quell’aria un po’ trascurata da idraulico della porta accanto che molte signore vorrebbero poter chiamare quando ne hanno bisogno. Un passato buio in cui ha fatto mille mestieri: camionista, commesso in un sexy shop, magazziniere (ma non l’idraulico: le similitudini con Delfino si limitano all’apparenza). Anni passati a percuotere pelli come batterista dei Pearls And Brass (quando ancora si faceva chiamare Josh Martin) insieme a quel Randy Huth che poi ha finito per diventare il bassista dei Pissed Jeans, prima di scoprire quella voce baritonale e potente che è stata la sua fortuna.
Un vissuto caotico di cui Gibson ha parlato senza remore nè vergogna nella sofferenza pura, liscia e senza ghiaccio, che rivestiva “All Hell”. Un album d’esordio accolto straordinariamente bene da pubblico e critica, che lo ha portato a firmare nientedimeno che per la Sub Pop. A meno di un anno di distanza Daughn ci riprova con “Me Moan”, chiedendo aiuto a John Baizley dei Baronness e a Jim Ellington (Brokeback). Un secondo disco stravagante, difficilmente assimilabile a un genere specifico perchè ne mette insieme molti. L’electro country di “Kissin’ On The Blacktop” e quello più classico di “All My Days Off”. I ritmi sincopati al confine con l’elettronica di marca eighties, capaci di creare un’atmosfera dark, sexy e pericolosa come forse solo l’ultimo Dirty Beaches è riuscito a regalare, che rivestono “The Sound Of Law”, “You Don’t Fade”, “Phantom Rider”. E contagiano ballate inquietanti come “The Pisgee Nest” o obliquamente romantiche come “Franco”, “Won’t You Climb”, “Into The Sea”, break up songs come “The Right Signs”, perfino “Mad Ocean” con le sue cornamuse da battaglia mixate in modo geniale.
Non ha paura di spiazzare e sperimentare questo “gothic cowboy” di Nazareth (PA) (come l’ha definito di recente il Guardian) che ha passato l’adolescenza ascoltando metal, Led Zeppelin e Human League, per passare al country di Kenny Chesney solo in età adulta. “Me Moan” all’inizio è un ascolto straniante, ma presto si rivela il classico “grower”. Vivamente consigliato soprattutto a tutti gli orfani della voce extra bassa del Matt Berninger prima maniera: troveranno pane per i loro denti.
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2. Phantom Rider
3. Mad Ocean
4. The Pisgee Nest
5. You Don’t Fade
6. Franco
7. You Won’t Climb
8. The Right Signs
9. Kissing On The Blacktop
10. All My Days Off
11. Into The Sea