C’è un’intera serie di cantanti, tutte donne, tra l’Oregon e la California che da qualche anno sta davvero producendo quanto di meglio ci sia in giro. Da EMA (di cui aspetto prima o poi un ritorno sulle scene), a Zola Jesus, a Scout Nibblet, inglese che però sceglie Portland, fino a Grouper, Lady Lazarus: un’intera generazione? scena? (come definire senza ridurre?) di musiciste che dalla stessa area stanno riscrivendo un vocabolario musicale che sembrava già  completo. Che siano tutte donne è un elemento che credo vada tenuto in conto, ma non ho interesse a fare discorsi di genere, perchè poi è davvero difficile uscirne vive, senza usare la parola femminismo e risultare terribilmente datate e paladine di una causa che forse esiste, forse non esiste, forse è solo mal posta. Tra loro c’è anche Alela Diane, con il suo “About Farewell”, un album folk dalle influenze un po’ meno tradizionali del solito, uno di quegli album che sembrano registrati davanti a un fuoco in Tennesse o in mezzo agli spiriti, ma che viene necessariamente da quell’area musicale di cui parlavamo.

Uscito questo Luglio per la Rusted Blue Records, è un disco che non cambia molto le cose, a cui si può passare accanto senza prestare attenzione, perchè davvero non prova a sperimentare in nessuna direzione, nè a creare un nuovo alfabeto per parlare di abbandoni, della difficoltà  di salutare e del fatto che nessuno ti può salvare. Ma è davvero necessario dire queste cose in un modo nuovo? “Tramp” di Sharon Van Etten è un album piuttosto tradizionale (e mi torna in mente mentre ascolto “Colorado Blue” o “The way we fall”), come pure l’esordio di Torres, eppure ““ o forse proprio per quello, perchè forse certe cose hanno una loro ortografia specifica, che è bene seguire, perchè la forma è anche contenuto ““ hanno tutto quello di cui abbiamo bisogno. Sono non solo appropriati, ma necessari, ci raccontano qualcosa con un’esattezza di intensità  e sguardo. Quando un album e una certa grammatica musicale sono confortanti lo stesso, nonostante la consuetudine o per la loro consuetudine ““ me lo chiedo, perchè Alela Diane ha prodotto qualcosa che posso inquadrare in una tradizione, in un certo modo di concepire la musica e le sue funzioni, in meno del tempo che passa tra la prima e la seconda canzone ““ cosa cercare in più? Sono giorni che continuo a tornare su questo album e tanto basta. Rispetto alle prove precedenti ““ che pure ho recuperato solo dopo aver sentito “About Farewell” -, quest’ultimo album è ancora più spoglio: tutto è consegnato alla voce e alla chitarra e poco più, come se tutto il resto, le decorazioni, i colori, le foto fossero già  state messe negli scatoloni, come se lei fosse pronta per andarsene. Questo è un disco di qualcuno che se ne va, prima di essere abbandonata, perchè un risultato inevitabile diventi una scelta, è un disco che non mostra debolezza, piuttosto la forza di chi forse si trova a perdere tutto, ma che almeno c’ha provato, che si è messo in gioco ““ la forza delle cicatrici, o qualcosa del genere ““ che ha iniziato a tagliare i ponti che la univano con qualcuno o con tutti, perchè è il solo modo di salvarsi.

Anche se poi there’s nothing I can do to save you from yourself. Forse non rientra nella top 10 di molti, forse stenterebbe a farsi spazio nella top 25 di un anno che davvero è segnato dall’abbondanza di capolavori, ma che si è contenti sia stato scritto. Non racconta niente di nuovo, solo l’essenziale.

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About Farewell
[ Rusted Blue – 2013]
Genere: songwriting
Rating:
1. Blue Colorado
2. About Farewell
3. The way we fall
4. Nothing I can do
5. Lost Land
6. I thought I knew
7. Before the leaving
8. Hazel Street
9. Black Sheep
10. Rose & Thorn