Tanto si è parlato (e forse anche troppo) dell’ultima fatica dell’ormai ottantenne Clint Eastwood che narra la storia vera di Chris Kyle, il cecchino americano letale divenuto leggenda, tra i Marines ed in patria con più di 160 uccisioni ufficialmente accreditate (anche se secondo lo “sniper texano” ne mancano almeno un centinaio all’appello). Dopo aver conquistato i botteghini americani con quasi 300 milioni di dollari all’attivo (quarto film per incassi negli USA nel 2014) e italiani (il film più visto con quasi 18 milioni al boxoffice) ha scatenato una serie di critiche e rimostranze per aver steso per immagini l’agiografia di un soggetto definito “eroe” dai più ma anche tacciato di vigliaccheria da molti altri. Ovviamente la materia in gioco è alquanto scottante e complessa, lungi da me quindi soffermarmi sulle tematiche pro o contro la triade ” dio, padre, famiglia” – tanto cara alla parte conservatrice e destrorsa americana (e non solo), di cui di certo egli fa parte, ma una lancia a favore del regista texano va spezzata.
Il film per quanto apparentemente apologetico ma di sicuro non propagandistico, descrive con crudezza e forse troppa sommarietà una delle tante vite sacrificate sull’altare della patria e della democrazia, e volente o nolente questo è un dato di fatto. Tuttavia è eccessiva la condanna a pure esaltazione dell’imperialismo americano da parte del regista “dagli occhi di ghiaccio” bensì si evince bene sin dall’inizio la scarsa cultura e una certa intelligenza del soldato americano – interpretato in maniera eccelsa da un fisicato Bradley Cooper – nato e cresciuto in un entroterra come quello texano, tra i più conservatori e guerrafondai degli States. Da tener presente che il punto di vista è prettamente il suo, con la sua moralità , il suo patriottismo e l’indole al cameratismo. Il vecchio Clint non prende posizione, ma descrive, non giustifica ma neanche condanna, semplicemente fa ciò che un regista è chiamato a fare: narrare per immagini.
E torniamo a bomba. Perchè infatti se critiche dobbiamo muovere alla pellicola queste sono di carattere esclusivamente cinematografico. La sceneggiatura è alquanto spicciola ed incerta, lo script suddiviso in: prologo, quattro parti che rappresentano le quattro spedizioni in Iraq di Kyle ed epilogo, non raggiungono mai un climax eterogeneo e convincente e se la messinscena nelle zone di guerra sono impeccabili la parte relativa alle problematiche relazionali coniugali dei suoi ritorni a casa e nella vita civile sono insipide e poco originali, se aggiungiamo una forte dose di stereotipi di cui la pellicola è pervasa il risultato filmico non può che risentirne. Non basta l’eccelso comparto tecnico, la regia tesa e coinvolgente del maestro Eastwood, nè la splendida fotografia e le belle prove attoriali. Non bastano se, le uniche scene davvero commoventi ed emozionanti sono quelle vere inserite nel finale ed il silenzio assordante dei titoli di coda.
Non stiamo parlando di un brutto film sia chiaro, anzi, credo sia una pellicola da vedere decisamente, in quanto Clint ci mostra una faccia dell’America, quella più popolosa, forse più ignorante ma di certo con altri valori, lontanissimi dalla visione europeistica dei conflitti in medio oriente e non per questo va giudicato.