A volte è bene partire dalla fine, anche quando la fine è più vicina al principio che alla conclusione. Le due parti di cui si compone “Love Like A Sunset” occupano lo spazio che precede la metà  della scaletta, eppure “Love Like A Sunset ” è la classica canzone da piazzare in fondo al disco. Una lunga apertura strumentale, giocata su accumulo di suoni e accelerazioni in due crescendo successivi, che lascia spazio nella seconda parte a una svolta melodica più lineare, i colpi di una chitarra acustica che spiccano sulla trama sintetica e la voce di Thomas Mars che canta: Right where it starts it ends / And then we start the end. Dovrebbe essere la fine, potrebbe benissimo esserlo, però c’è ancora spazio per metà  disco. Il quarto lavoro in studio a nome Phoenix è una fila di canzoni che scorrono inesorabili, una dopo l’altra senza sbavature. Una scaletta da mettere in loop, che non teme sbilanciamenti. Quella “Love Like A Sunset” è l’unica barriera, l’unico spazio concesso al respiro.

Con “Wolfgang Amadeus Phoenix” la band francese mette a punto una formula implacabile. Bilancia un’anima tutta sintetica, vicina agli Air e ai Daft Punk più eterei, con solidi meccanismi pop-rock di stampo britannico, guidati dalla classica triade chitarra-basso-batteria e spinti avanti dalla voce di Thomas Mars, ritmata, sempre melodica, sempre a pochi passi dall’isteria.

“1901” è forse il caso più paradigmatico: l’incedere regolare delle tastiere, che richiama strutture rigide vicine agli anni ’80, si incastra in modo sorprendentemente preciso con la forza d’urto dinamica delle chitarre e con una base ritmica aperta e inarrestabile. Il cantato, poi, alto e presente, aggiunge la spinta decisiva per rendere il brano niente meno che irresistibile. Così come del tutto contagioso è il singolo di lancio, “Lisztomania”, lucido e perfetto, tanto diretto da non lasciare il tempo a ragionamenti o pensieri. Colpisce, passa e lascia storditi, pieni della voglia di premere di nuovo il dito sul tasto play.

E discorsi molto simili possono essere fatti per tutti gli altri brani in scaletta. Escluso il caso di “Love Like A Sunset”, “Wolfgang Amadeus Phoenix” è uno di quei dischi in cui tutte le canzoni possono aspirare a essere estratte come singolo: tanto i momenti più tirati come “Girlfriend”, “Lasso” o “Armistice”, che quelli in cui il ritmo cala un poco, ad esempio “Fences” o la splendida “Rome”.

Con il loro quarto lavoro in studio i Phoenix sembrano aver trovato una formula perfetta, quasi troppo perfetta. L’ascolto è talmente tanto lucido, privo di crepe o incertezze, che rischia di scivolare via a una velocità  troppo elevata per riuscire a lasciare un segno. Le canzoni però, come nelle favole più belle, fanno la differenza: una serie di trappole implacabili da cui sembra impossibile riuscire a fuggire. Minuti di musica capaci ogni volta, in ogni singola occasione, di bilanciare l’abbaglio della precisione con i meriti innegabili dell’immediatezza.

Photo: Rama / CC BY-SA 2.0 FR