Sei album in quasi venticinque anni di carriera, centellinati con cura d’altri tempi. I Tortoise sono una di quelle band a cui piace pensarci su un bel po’ prima di entrare in studio a registrare, ma il risultato spesso e volentieri ripaga della lunga attesa. “The Catastrophist” ha avuto una gestazione lunga ed è nato da una richiesta del comune di Chicago: creare una sorta di percorso musicale che riunisse le anime di una città  complicata, con particolare attenzione al jazz e all’improvvisazione. Una sfida che i Tortoise non potevano rifiutare e alla fine hanno creato cinque lunghe composizioni che, dopo il rodaggio live, sono state scomposte, ricomposte, sminuzzate e rielaborate così tante volte prima di arrivare agli undici biglietti da visita di “The Catastrophist” che a Dan Bitney, Doug McCombs, Jeff Parker, John Herndon e John McEntire deve essere venuto un gran mal di testa.

Il nuovo dei Tortoise è un disco ostico, spigoloso, che alterna math rock preciso come i quadrettini di un quadernone di scuola, puro e cristallino come il ghiaccio che si forma sugli alberi quando fuori fa un freddo polare, sintetizzatori, una passionaccia per l’elettronica, variazioni di piano e percussioni noir. Tanta roba, cucinata bene. Due i complici in questa grande abbuffata. Todd Rittmann degli U.S. Maple e Dead Rider che tira fuori le unghiette psichedeliche in una cover pazzoide di “Rock On” di David Essex, amor di gioventù di McEntire e McCombs. E Georgia Hubley, la signora degli Yo La Tengo, a cui invece tocca in “Yonder Blue” il non semplice compito di prendere il posto che avrebbe dovuto essere di Robert Wyatt se Mr. Wyatt non avesse deciso di andare in pensione. Lo fa con grinta, in una ballata ruvida, fumosa e sognante in cui sembra una Marianne Faithfull più romantica e meno cattiva.

A chiudere arriva “At Odds With Logic”, piccola epopea rumorista che potrebbe candidarsi a nuova sigla di “Star Wars” se qualcuno si stancasse di quella vecchia.”The Catastrophist” insomma somiglia a una scatola di cioccolatini, non sai mai che gusto ti capiterà  in mano. Meno glaciale di “Beacons of Ancestorship”, non al livello di “Millions Now Living Will Never Die” e “TNT”, non è il disco perfetto nè l’album di cui t’innamori follemente al primo ascolto. E’ un labirinto in cui è bello perdersi e cercare una via d’uscita.