Dobbiamo andare e non fermarci finchè non siamo arrivati
Dove andiamo?
Non lo so, ma dobbiamo andare
Se si dovesse sintetizzare “On the Road” di Kerouac, queste tre righe sarebbero l’ideale, e si dovessero descrivere i Moriarty ““ e qui Dean Moriarty del suddetto libro strizza l’occhio – sarebbero necessarie le stesse identiche righe.
Il gruppo è uno di quelli che incroceresti normalmente per le strade del centro con gli strumenti in mano, le facce concentrate e felici e il cappellino sgualcito a terra; quelli che senti di sfuggita e pensi di fermarti, continui ad inoltrarti nel fiume di gente e ti penti di non esserti fermato ad oscillare al loro ritmo zingaro; quelli che ti sembra un oltraggio riascoltare in cuffia perchè andrebbero assaporati esclusivamente sul palco, sciolti e carismatici come animali selvatici scatenati.
“Epitaph” più che un album sembra un racconto breve, un inno al movimento, all’aria, al vento fra i capelli. Non c’è una vera punta di diamante al suo interno: le tredici tracce sembrano modellate l’una sull’altra per formare un unico pezzo, un’inquadratura caleidoscopica che fa venire voglia di ballare guardando il cielo.