Nel dicembre 2014 avevano fatto uscire un pezzo intitolato “I am Mark E Smith”; il suono era sghembo e allucinato, la melodia un loop ipnotico perfetto per andare avanti all’infinto, la voce strascicata di Lias Saudi l’unico cantato possibile. Quel singolo era anche il trait d’union tra l’esordio della band – anno 2013 – e il loro secondo lavoro uscito lo scorso gennaio. Anche se “Songs for our mothers”, l’album nuovo della band londinese, è verrebbe da dire un po’ più complicato di come quel singolo poteva far immaginare. Il pezzo d’apertura è stato definito dalla stessa band un pezzo à  la Donna Summer e, benchè il richiamo disco possa essere discusso, è un dato di fatto che rispetto al precedente “Champagne Holocaust” le cose sono state diversificate. La postproduzione, ad esempio: lì dove l’LP precedente esaltava il suono spoglio e grezzo, “Songs For Our Mothers”, pur senza andare troppo lontano dall’approccio svagato/lo-fi, prende il suo tempo e i suoi spazi per curare e rielaborare i pezzi, vedi appunto “Whitest boy on the beach” (il pezzo à  la Donna Summer), o “Tinfoil Deathstar”, che pare essere lo spin off della prima, o “Hits hits hits”.

Cambia poi la direzione del suono, più aperto alla psichedelia perchè “un altro album garage sarebbe stato un ovvietà “; e cambiano in parte le atmosfere, meno distese e più incupite, più vorticose, a tratti sinistre (“Love is the crack”, “Duce”, “We must learn to rise”).

Quel che resta invece sono le distorsioni e gli effetti, applicati costantemente anche alle voci; i toni dei testi, dissacranti, dissoluti, e provocatori; e l’attitudine sgangherata da outsider irrequieti/piantagrane, rispecchiata nella loro immagine come nella loro musica.

Di loro si è parlato spesso anche per ragioni non musicali (risse, peni in mostra e via dicendo) che in un modo o nell’altro fanno comunque parte del pacchetto FWF, del loro mondo nichilista/anti-establishment e del loro modo di intendere la musica. Tuttavia pensando unicamente a ciò che c’è al di fuori delle performance live, ossia l’album di studio, questo suona meno abrasivo e meno deciso rispetto al carattere mostrato dalla band. Pur avendo il merito di uscire dai generi e dalle tendenze attuali, e pur essendo il loro sound già  piuttosto riconoscibile, “Songs for our mothers” risulta ancora carente di un che di personale e definito; qualcosa che nessuna acrobazia da palcoscenico può compensare.