La complessità  e la varietà  lessicale della nostra beneamata lingua non sempre riescono ad estinguere del tutto l’impossibilità  d’espressione di determinati concetti costringendoci così spesso ad adottare neologismi ed espressione anglofone coniate ed utilizzate dai ben più quotati giornalisti del New Musical Express. Quale sarebbe il corrispettivo italiano di blow my mind dunque, mi hanno fottuto la testa? Forse non la più elegante delle sue possibili traduzione ma certamente quella più d’effetto.
Non lo so, ma in fondo, quanti sono gli album che nel corso delle vostre vicende personali vi hanno veramente fottuto la testa? Mi hanno fottuto la testa ai tempi “Whatever People Say I Am, that’s What i’m not” e più recentemente sono stato fottuto da Courtney Barnett. Conosco gente, ve lo posso assicurare, cui la testa è stata fottuta da DIE di Iosonouncane. Devono necessariamente essere pochi, per definizione, o finiremmo tutti col diventare meretrici del pensiero.

In questo caso non si tratta neanche di un album, i Parrots mi avevano già  fatto uscire di senno a partire dai loro due Ep d’esordio “Adem Arabie” e “Weeds for the Parrots” con i quali l’hype è cresciuto e il loro nome ha iniziato circolare nell’ambito scena indipendente spagnola. Los Ninos Sin Medio, va detto, è un album la cui uscita è stata determinata più dall’esigenza di cavalcare l’onda nel suo momento più alto che da impellenze musicali in senso stretto e forse proprio per questo un attimino al di sotto delle aspettative.
Cosa voglio dire, a mio modesto parere il trio madrileno non ha probabilmente composto quest’album ma lo ha semplicemente realizzato attuando un assemblage di canzoni scartate, accantonate, ri-arrangiate dai lavori precedenti. Poco importa , alle porte di un tour europeo quel che più contava era rimpolpare una scaletta in cui comunque i pezzi forti rimarranno quegli degli albori.
Non vorrei confondeste le mie affermazione con una critica severa, i Parrots non saranno mai una band sperimentale, i temi psichedelici ripresi nella copertina servono solamente per ricordare che in fondo l’unico denominatore comune con i tanto ostentati sixties non è nient’altro che lo sballo. Adoro “Los Ninos Sin Medio” e “Los Ninos Sin Medio”, fortunatamente, non ha fatto altro che ribadire la strada intrapresa dal gruppo.
Quest’album sarebbe stato ugualmente registrato in tre giorni, fa parte del loro stile. I critici d’arte, dell’arte quella vera, che nell’incompiutezza erano già  stati in grado di scorgere dei barlumi di poesia furono costretti ad inventare un termine per nobilitare questa forma d’espressione: Naif. I Parrtos cantano in un inglese talmente pessimo da rendere credibili persino le mie interpretazioni sotto la doccia ed imbraccino gli strumenti come fossero mazze da hockey ma la sommarietà  dei presupposti inaspettatamente da vita ad un risultato che, nel disordine più totale, risulta in ugual modo musicalmente bilanciato.
Non saprei scegliere quale immagine possa risultare la migliore per descriverli , a me piace immaginarli come la risposta mediterranea (quindi grezza e verace) dei Vampire Weekend. Le influenze musicali per quanto disparate sono tutte ben distinguibili, il punk newyorkese, gli Strokes, i Fat White Family ma sono tutti orpelli che si riflettono soprattutto nel loro immaginario estetico, la musica che i Parrots fondamentalmente vogliono proporre è una, rock “‘n’ roll vecchio stampo, l’incrocio tra le versioni più movimentate dei Beatles mixati con una party attitude che sta a metà  tra lo studente spagnolo in erasmus ed Animal House.

L’aspetto caratterizzante, moderno, in definitiva personale dei Parrots e la “lofi-cizzazione” del suono applicata ad un orizzonte musicale del tutto retrò. La grandezza della formazione madrilena risiede proprio in questo, nell’attualizzazione di qualcosa di “arcaico” in base ad un meccanismo fin troppo in voga nell’orizzonte indie contemporaneo in cui la spinta innovatrice sembra progressivamente esaurirsi ed il rimando ad uno spirito vintage sembra, più che una moda, una vera e propria necessità .
Quel che sto per intavolare non vuol certamente essere un discorso assolutistico e sarei il primo in grado di fare un paio di nomi per auto smentirmi ma le premesse sono così evidenti che sinceramente preferirei non dilungarmi in spiegazioni. La Spagna , così come l’Italia, la Francia e più in generale tutte nazione caratterizzate da un cultura classica hanno sempre versato in una condizione storica di repulsione al rock (vuoi per l’idioma vuoi per l’influenza della tradizione popolare) e quindi al giorno d’oggi nella penisola iberica essere una band alternativa vuol dire anche, e soprattutto, essere una rock “‘n’ roll band ed è questo il motivo per il quale il caso Parrots assume un’eccezionalità  del tutto diversa a quella di altri gruppi ,magari anche distanti, ma del tutto simili negli intenti come Strypes e Wolfmother rispettivamente formatisi in Irlanda ed Australia.

Sarebbe sbagliato continuare a relegare questo genere di musica ” tributativa ” ad un ruolo minore in base ad un principio di mancanza di apporto personale, il contributo dei Parrots c’è ed è evidente e va ben oltre le variazioni sul tema che, in fin dei conti, non dipendono da nient’altro che da affinità  generazionali. I Parrots sono riusciti a svernare un genere, a togliergli quella patina opaca e quell’odore di casa delle nonna grazie alla freshness del loro suono attualizzandolo in maniera coerente ,in un mondo in cui la figura della rockstar nel suo significato più tradizionale sta venendo sempre meno, e facendolo perfettamente combaciare con i meccanismi di una medio-piccola band indipendente cui crescere interessa relativamente poco perchè, in fin dei conti, la tournè in furgone è l’unica maniera per vivere una vera vita on the road.
Se a questo punto vi siete fatti un “‘immagine pessima di me, se starete pensando che il mio prototipo di band ideale sono tre cazzoni che suonano Elvis in un garage beh, a me non rimane che darvi ragione. I Parrots non scriveranno mai grandi pagine del mitico libro della storia della musica, va bene, ma “I Am a Man” rimarrà  sempre ciò che di più vicino può esistere ad una canzone in grado di farmi ballare.
No me gustas, te quiero