“Hey Hackney, è davvero  un piacere essere qui. Facevamo busking qui attorno ed è anche grazie a voi se siamo qui, a suonare in questa splendida venue, stasera”.

Ben Moorhouse e Leo Duncan  sono il ritratto della felicità , giusto  a metà  della loro serata a Oslo, locale di quella Hackney che fu teatro delle prime esibizioni spontanee firmate Ten Fè. O forse anche prima che Ten Fè iniziassero a fare musica per davvero.

Chitarre, semplici riff e un indie pop sopraffino, il tutto mischiato con un senso di contentezza che non fa altro che corroborare il messaggio di cui la band si fa portavoce. “Abbi fede”, sussurra il nome del sodalizio stesso, tradotto in spagnolo. Ed è abbastanza semplice capire che Ben e Leo vogliano semplicemente il nostro sorriso, il prendere la vita in maniera forse un po’ meno nervosa e frenetica, in tempi difficili e incerti quali quelli attuali.

Avevo la sensazione sarebbe stata una seratona ben prima di entrare in uno dei locali di Londra che preferisco. Oslo, infatti, è una venue iconica, ricavata nei locali della vecchia biglietteria della stazione di Hackney, profonda zona est della città . à‰ ancora mezza vuota, quando faccio capolino. Baywaves sono, il primo gruppo spalla, arrivano da Madrid e portano al pubblico il loro suono frizzante e definitorio di un dream pop per certi versi unico. JW Ridley fa seguito poco dopo, quando il locale inizia a riempirsi. Qui si cela la prima sorpresa della serata, perchè questo ragazzo, a me sconosciuto, smuove qualcosa dentro di me. Suona la chitarra come farebbero i The Cure, mi ricorda vagamente Ian Curtis per la posa e la presenza scenica. Suona quello che deve essere il suo repertorio ancora non pubblicato, più il singolo “Everything (Deathless)”. Brillante, in una parola soltanto.

Quando  Ten Fè  salgono sul palco, Oslo è una bolla umida di alcool e risate. Il duo londinese inizia il set con l’ipnotica “Overflow”, iniziando un viaggio attraverso i pezzi principali del recente album d’esordio, “Hit The Light”, uscito via Some Kinda Love. La band suona rilassata, quasi scanzonata, sorridento e allineando i primi cinque pezzi del disco in ordine ben preciso. “Another Way” raggiunge il climax, giusto a metà  del set, in una vellutata atmosfera che infonde quel senso di pace che di questi ragazzi sembra essere il marchio di fabbrica.

La folla che popola Oslo è attraversata da piccole onde di piacere, durante il trittico finale, composto da “Make Me Better”, “In The Air” e “Burst”. C’è tempo per l’encore, ed eccola qui la seconda sorpresa della serata. Ten Fè danno vita a una versione di “Born Slippy” di Underworld e tutto sembra fermarsi per un attimo. Ben e Leo si alternano al microfono, mentre un mare di chitarre in delay e synths avvolge l’ambiente. Non c’è dubbio: è una delle cover piຠbelle e riuscite che abbia mai ascoltato per questo pezzo senza tempo.

Gli ultimi versi “And now are you on your way to a new tension and headache?” vibrano nell’aria e fanno scorrere i titoli di coda.  Ten Fè salutano con un sorriso ancor più grande stampato sul volto. Ed è proprio li che ci vedo qualcosa di speciale. Abbiamo fede, allora, ne vale la pena.