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I BABYSHAMBLES suoneranno al FREQUENCY FESTIVAL 2008
Buttare giù quattro righe sull’ultimo disco sfornato dai Babyshambles non è affatto cosa facile, almeno per un paio di motivi. Primo: a me Pete e i suoi gruppi, prima i Libertines e poi quello di oggi, sono sempre piaciuti. Secondo: è costantemente in agguato lì dietro l’angolo il rischio di ritrovarsi a parlare solo di Mr. Doherty, “enfant terribile” e mascotte bistrattata dell’Inghilterra blairiana. Fiumi di inchiostro, quintali di pellicola fotografica e miriadi di servizi televisivi si sono sprecati per disquisire di volta in volta delle sostanze che circolano nelle vene di Pete (o in quelle del suo gatto), delle top model che gravitano attorno alla sua camera da letto, delle sue gite tra cliniche di disintossicazione e patrie galere britanniche. Con “Shotter’s Nation” però i Babyshambles riescono a mostrare al mondo di essere qualcosa in più di un gruppo da tabloid e paparazzi; e in questo disco, a differenza di quanto nel precedente “Down In Albion”, i quattro suonano sul serio come una band e non come un giocattolo nelle mani di Doherty. Al produttore Stephen Street (Smiths e Blur nel suo curriculum dovrebbero bastarvi come referenze) va il merito di essere riuscito a fare quello di cui non era stato capace l’ex-Clash Mick Jones dietro la consolle su “Down In Albion”: imbrigliare l’impeto creativo del gruppo e plasmare il tutto in forma di un disco. “Shotter’s Nation” infila dodici pezzi che sono la summa di quanto il rock albionico abbia espresso negli ultimi trent’anni: rock nudo e crudo, chitarre e sudore, e zero orpelli electro-indie che fanno tanto cool nel nome del nu-rave e della contaminazione. I Babyshambles riescono meglio proprio sui pezzi lasciati più sporchi, quando imbracciano i loro strumenti e danno una lezione su quella che è l’anima del rock made in UK. Rock svezzato in un garage nei sobborghi di Londra o tra i sottobicchieri e le pinte di un pub fumoso, e non attorno alla scrivania lucida di un manager in giacca e cravatta di una qualsiasi casa discografica. Si parte con il riff sbilenco di “Carry Up The Morning” che fa molto Libertines, tanto per non dimenticare quello che è stato. E poi si continua citando tutto quello che c’era da citare: i Kinks dell’azzeccatissimo singolo “Delivery” ed i Jam, il blues malato di “There She Goes” ed i Clash, e poi ancora gli Smiths, gli Stone Roses e gli Who, passando per i Pulp ed i fratelli Gallagher. Il tutto condito dai testi di Doherty, che di certo è uno che di materiale su cui scrivere ne avrà in abbondanza. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti e sono anche mescolati per bene e cotti al punto giusto; forse qualche spezia in più avrebbe reso il tutto ancora più gustoso, perchè se proprio un limite si deve trovare, allora si può dire che in “Shotter’s Nation” i Babyshambles vanno sul sicuro, senza mai osare più del minimo necessario. Ma al giorno d’oggi Doherty e soci sono tra i pochi a riuscire nel coniugare l’estetica e la filosofia del rock con la buona musica. E scusate se è poco. |
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