Inizi del 2004, Wakefield, West Yorkshire, UK: tre fratelli che suonano insieme da anni, con un orecchio teso al suono d’oltreoceano e la sensibilità  pop tipicamente “‘albionica’ impressa nel DNA; la solita trafila fatta di pub e localini infimi, “‘guerrilla gig’ e spostamenti innumerevoli su e giù verso le insegne luminose della capitale; una manciata di singoli alle spalle prima dell’omonimo debutto sulla lunga durata, le prime attenzioni dei media e gli inevitabili paragoni con Strokes e compagnia bella.
Poteva sembrare una storia come tante, uguale a quella di decine di band: l’ennesima, sensazionale ed imperdibile next big thing da dare in pasto a stuoli di blogger, il nome da inserire nelle compilation stagionali di mp3 e da consegnare al dimenticatoio entro e non oltre un paio di mesi, col primo cambio di guardaroba. In pochi avrebbero scommesso più di un euro sulla longevità  di quella band, ed invece eccoli qui i Cribs, quasi sei anni dopo, tre dischi alle spalle ed un quarto album fresco di stampa.

Un lavoro, “Ignore The Ignorant”, chiacchierato ancora prima della pubblicazione, vuoi per le voci rimbalzate da parte a parte – e rivelatesi poi prive di fondamento – relative ad una svolta verso l’impegno politico nei testi, vuoi soprattutto per l’entrata a pieno titolo nella formazione di tale Johnny Marr, monumento vivente agli ultimi trent’anni di pop inglese, ormai dotato del dono dell’ubiquità . Una mossa coraggiosa, quest’ultima, capace di trasformarsi un’arma a doppio taglio: già  si potevano immaginare le facili accuse per un ricorso al nome altisonante al solo fine di celare ipotetici blocchi creativi. E poi c’era l’azzardo, non certo da poco, nell’inserire all’interno di un gruppo – anzi una famiglia – dalla chimica ben rodata un elemento estraneo e dal passato alquanto ingombrante. Ma già  dalle note di “Cheat On Me”, singolo di lancio, si intuisce che l’innesto è decisamente riuscito: la tipica chitarra jangleggiante di Marr intesse i suoi arpeggi su cui si incastrano i riff spigolosi di Ryan Jarman, ed ecco che il sound dei Cribs ne guadagna in calore e pienezza, senza uscirne per niente snaturato. Quella che da detrattori e fan spaesati è stata definita come carenza di verve va piuttosto interpretata come indice di una sopraggiunta maturità  che ha permesso all’ex-trio ora quartetto di sfornare un disco compatto, dalle atmosfere più cupe e introspettive rispetto al passato prossimo, e con ben poche cadute di tono: certo, mancano le progressioni di pezzi tiratissimi – anche se l’opening track “We Were Aborted” dispensa la giusta dose di adrenalina e cazzeggio – ma il risultato finale non fa rimpiangere il passato, ed anzi! Se in “Last Year Snow” o “Save Your Secrets” ci si muove in direzioni smithsiane forse prevedibili ma non sgradite, addirittura in “City Of Bugs” si lambiscono i Sonic Youth: chi lo avrebbe mai detto?

Sicuramente “Ignore The Ignorant” non sarà  un disco epocale, così come i Cribs non saranno mai, come pure è stato affermato, “‘the biggest cult band in the UK’ (mentre restano a pieno titolo in lizza per le peggiori acconciature). Non mancano momenti più opachi, ed anche questo è innegabile: ma se proverete ad andare oltre un primo ascolto ed a dimenticare per un attimo i ritornelli catchy a cui vi aveva abituato la band, probabilmente questo album potrebbe dimostrarsi ben più duraturo dei precedenti.