Non so se vi è mai capitato di trovarvi in uno di quegli attimi capaci di svelarti mondi interi, cose che hai sempre saputo ma con cui non volevi avere niente a che fare.
Qualche giorno fa leggo un’articolo su un giornale svizzero. Le mie conoscenze della lingua tedesca vanno ben oltre l’elenco di gerarchi nazisti e campi di “lavoro”, ma non abbastanza per decifrarlo correttamente. Casualmente durante il viaggio scopro che “La Repubblica” riporta la notizia in una lingua a me più congeniale. Insomma, il programma per la tv piu’ buonista e corretto che ci sia mai stato ( “Famiglia Bredford” a parte) è stato censurato in Turchia. Sto parlando ovviamente della Svizzera Heidi. Si tratta di una censura “parziale”, difatti i personaggi e le storie sono identiche ma la Signoria Rottemeyer è costretta a portare il velo ed alla protagonista vengono coperti i classici mutandoni bianchi con un vestitio rosso piu’ lungo dell’originale. Ora tutto questo è stato deciso da una casa editrice turca per combattere la disislamizzazione del paese, ma io già mi immagino le frustrazioni di Arkan, secondo genito di una famiglia mussulmana di Istanbul, alle prese con lo sbocciare della sua pubertà . Dopo essersi saziato di Baklava, si appresta come tutti i bambini alla visione dei cartoni pomeridiani. E’ ammaliato da questa fanciulla cosi diversa dalla sue compagne con questo vestito che fa intravedere dal ginocchio in giù. Heidi corre, salta, ricorre, risalta ma questa gonna non accenna ad alzarzi, rimane li fissa. Arkan è combattuto, ma allo stesso tempo curioso, curioso di scoprire. Il nostro Arkan andrà a ritirarsi nella toilette da li’ a poco, dove darà sfogo alle sue fantasie: slip rossi, perizoma oppure addirittura nulla”…. ma di certo non immaginerà mai gli originali mutandoni bianchi anti estetici.
Ecco, si potrebbe concludere che censurare, proibire apre e aiuta la mente a conoscere, immaginare , a voler scoprire, a viaggiare. Viaggi appunto, viaggi che non farei cosi spesso se Roma e il suo comune non proibissero a molte band di esibirsi in città . Certo, la mia consueta presenza a Zurigo è giustificata anche da una bellissima ragazza bionda del luogo ( che al contrario di Heidi non porta nessun paio di mutandoni). Ringrazio quindi Roma per l’ esperienze che mi permette di vivere, come quest’ultima per i The National.
L’ Abart , locale buio e angusto, non è certamente il migliore che offrè la città e non lo è nemmeno la sua birra, visti gli effetti troppo rapidi che ha avuto su Matt Berninger,il cantante (piu’cinque musicisti i fratelli Dessner, i fratelli Devendorf e Padma Newsome). Per quasi tutto il concerto è rimasto sul palco a metà tra il Dustin Hoffman di “Rain Man”, con innumerevoli colpetti alla tempia ( a tempo però ) e il Barney dei “Simpson” con lo sguardo a volte assente; inoltre per la coinvolgente ” Mr.November” si è addirittura lasciato andare in un avventurosa camminata tra il pubblico. Atipico per un gruppo definito classico, “melanconico” e per un cantante paragonato a Nick Cave , Jarvis Cocker e -ho letto- a Ian Curtis ( a proposito, la finirei di affiancare sempre ai Joy Division qualsiasi gruppo New Wave con batteria controtempo e sguardi tristi ). Critiche positive anche della stampa locale,dove definiscono i loro testi poetici e ispirati al Dadaismo (!!!) . Non scomoderei Dada, ma di certo non sono testi banali: Stay out super late tonight, picking apples, making pies”… We’re half wake in a fake empire, una meravigliosa ode (assurda) per New York e non un banale inno anti imperialista. Oppure, chi non ha mai sognato di usare queste parole per lasciare una ragazza?: And so and now I’m sorry I missed you, I had a secret meeting in the basement of my brain ; e, dedicato a molti di noi, We look younger than we feel and older than we are.
“Boxer” e il capolavoro ” Alligator” vengono quasi completamente riproposti, tralasciando fin troppo ” Sad Songs For Dirty Lovers”. Rimarrà quindi la curiosità su come avrebbe potuto interpretare, in quelle condizioni, “Slipping Husband” con il Dear we better get a drink in you before you start to bore us…
L’ascoltatore tipo dei National si potrebbe quindi definire come un quasi trentenne che ha vissuto quello che doveva vivere al liceo e che ha sperimentato quello che doveva sperimentare, adesso che dovrebbe passare all’azione finalizzata, si rinchiude, si isola.
L’atmosfera che si crea pero’ è piu’ che coinvolgente, dato che i quasi trentenni sono rimasti tutti a casa ed i ragazzi presenti si esaltano durante tutti i pezzi, ma purtroppo il luogo non si presta molto alla “musica da camera” di Berninger e Soci che meriterebbero piu’ spazio e soprattutto un acustica adeguta per i suoni piu’ “intimo-Romantici” dove Berninger si calma e si agrappa ad occhi chiusi al microfono : “Daughters of the SoHo Riots”,” City Middle”, “Start a War” la gia’ citata “Fake Empire”, le splendide “Slow Show” e “Gospel”, chiudono il cerchio.
Con “Boxer” i The National si confermano una vera realtà nel panorama rock e non una meteora pronta a scomparire ai primi bagliori di successo.
Nota di colore finale. Al termine del live,, dopo la solita ressa per acquistare cd, T- Shirt e gadget, recandomi all’uscita ho incontrato il cantante ancor più “allegro” che, guardando la mia maglietta rossa (dei The National), mi concedeva un gesto di approvazione chiedendomi dove l’abbia presa visto che non era in vendita.
Gli avrei voluto rispondere di averla in realtà presa in fondo al mio disagio esistenziale, ma non ne ho avuto il coraggio.
Video From The Nite:
START A WAR
SECRET MEETING
ABEL